Come scriveva Dickens nel 1858 nel romanzo A tale of two cities: «Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, la primavera della speranza e l’inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi…». Era l’alba del Novecento, ma molto si addice a quanto stiamo sperimentando negli ultimi anni.
In un contesto non semplice per l’Italia produttiva e lavorativa, dove le famiglie e le imprese si trovano alle prese con il caro bollette e con la difficoltà di far quadrare il bilancio a fine mese, il Governo della Meloni mantiene le promesse all’Europa e impone una manovra rigorosa che prevede saldi in pareggio per ogni capitolo di spesa. Per un euro che esce, ne serve uno che entra. Si affronta a testa alta l’inverno della disperazione.
Accantonate scelte populiste e poco efficaci, come l’azzeramento dell’Iva su pane e latte, che poco avrebbe comportato nella lotta all’inflazione, la manovra appare molto conservativa, ma centrata sui problemi reali del Paese e solo in parte orientata al programma elettorale.
Del resto, sugli oltre 32 miliardi della manovra, sono 21 quelli previsti per la lotta al caro bollette e per il sostegno a famiglie e imprese. Poco rimane per proposte ideologiche. La manovra, più che al cuore degli italiani, parla al loro portafoglio! Il problema del caro energia non è di poco conto, se consideriamo l’impatto sulle famiglie e sull’economia reale.
Gli imprenditori hanno visto negli ultimi mesi un incremento esponenziale dei loro costi di energia e questo ha impatto su tutti i settori: dalla metalmeccanica all’alimentare; dal turismo ai trasporti. E in modo trasversale dalle grandi alle piccole imprese. Pensiamo ai piccoli panifici, dove il forno è centrale per la realizzazione del prodotto; o ai bar, i ristoranti, le pizzerie, gli alberghi, dove luce e gas, insieme al personale, sono il 90% del totale dei costi.
Per non parlare delle aziende più grandi, ancora più energivore, dove il caro bollette e il caro trasporti ha modificato in maniera rilevante la struttura dei costi, costringendo ad un’impennata dei prezzi che alimenta la già rilevante tendenza inflazionistica. E, ricordiamolo, l’eccessiva inflazione riduce il potere d’acquisto degli italiani e alza il costo del debito, indebolendo ulteriormente gli effetti della manovra. Certo, difficile arginare l’inflazione togliendo l’Iva dal pane: su un costo medio di 3 euro/kg il taglio dell’Iva porterebbe ad abbassare il costo a 2,88 euro/kg, pochi centesimi che varrebbero meno di 10 euro l’anno a famiglia.
E, per fortuna, di fantasia di misure ce n’è poca in questa manovra. In sé non c’è grande sorpresa per le misure degli aiuti contro il caro energia, considerando che la manovra proroga in molti casi quanto già previsto da Draghi: crediti di imposta, bonus sociale e sconto benzina. Purtroppo, 21 miliardi saranno appena sufficienti per arrivare alla primavera inoltrata, sperando non si renda necessario un piano straordinario ad inizio estate. La primavera della speranza, per l’appunto! Ed è una proroga dal governo Draghi anche la misura che taglia il cuneo fiscale di 2 punti per i redditi fino a 35 mila euro, su cui si aggiunge un taglio di un ulteriore punto (per arrivare a -3) per i redditi più bassi (fino a 20 mila). Una misura necessaria per tutelare le fasce più fragili, anche in risposta alle promesse elettorali.
E tra queste difficile dire addio, in così poco tempo e senza una piena condivisione, alla Legge Fornero. Da qui il passaggio a Quota 41 con un tetto minimo di età per entrare in pensione a 62 anni. Quota 100 si trasforma in Quota 103, senza particolari stravolgimenti se non quello di evitare ingressi nel sistema pensionistico di persone troppo giovani, che renderebbero ancora più insostenibile il far quadrare i conti dello Stato in futuro.
Con il poco che resta dei 32 miliardi di manovra, lo spazio per contrattazioni tra i partiti della maggioranza è molto contenuto. Rimane l’interessante e condivisibile estensione della flat tax ad una platea più ampia di autonomi e partite iva (con aumento da 65 mila e 85 mila del limite di fatturato). L’esperimento già avviato da qualche anno ha semplificato in molti casi la gestione fiscale per molti lavoratori autonomi, senza che vi sia stato un reale decremento delle entrate fiscali dello Stato. Con grande probabilità, anche questo ampliamento non avrà effetti di grande impatto sulle finanze statali, ma contribuisce a proiettare l’idea di un’agenzia delle entrate più vicina e più accessibile, meno burocratica. Così come lo stralcio delle cartelle esattoriali per importi inferiori a 1000 euro, che poco ha a che fare con l’idea di dare vantaggi agli evasori. Degli oltre 17 milioni di italiani che hanno un «conto aperto» con il Fisco, circa il 45% ha debiti erariali per meno di mille euro. Sembrerebbe una cifra enorme, ma nel complesso equivale a meno del 2% del contenzioso tributario dello Stato. Si ricorda che l’esistenza di una cartella aperta non saldata, di qualunque importo essa sia, comporta sanzioni amministrative e penali e alimenta una macchina burocratica che affoga la Giustizia amministrativa, tribunale e penale. Con un’azione poco impattante dal punto di vista del bilancio statale, si ha una rilevante riduzione del contenzioso, cui corrisponderebbe un minor carico di lavoro per i tribunali e per gli esattori statali, che si concentrerebbero sui reali evasori.
Tra tanti temi largamente condivisi, l’unico argomento politicamente divisivo è la vexata quaestio del reddito di cittadinanza, la cui totale abolizione non è fattibile anche per motivi oggettivi. Per cui si prevede il contenimento della misura per il 2023 ed una sua progressiva abolizione dal 2024, con una forte azione per consentire ai molti percettori del reddito di cittadinanza di trovare un lavoro. Si tratta ad oggi di oltre 660 mila persone i percettori di reddito di cittadinanza (moltissime in termini percentuali nelle regioni del Sud, con grandi poli in Sicilia, Campania e Calabria). Di questi il 25% non ha mai lavorato (e difficilmente lavorerà entro un anno), il 43% non lavora da prima del 2017 (e difficilmente troverà un lavoro entro un anno), il 32% non lavora dal 2017 (e su questi si punta per una ricollocazione più rapida e desiderata non solo dallo Stato ma anche da chi vorrebbe rientrare nel mondo del lavoro).
Dove trovare tutte queste risorse, avendo promesso saldi in pareggio per ogni capitolo di spesa? In prevalenza tagliando qualche altra misura non ritenuta più valida e non così necessaria, dati i problemi attuali del Paese. In parte inventando nuove fonti di prelievo in comparti dell’economia che sembrano soffrire di meno, come l’e-commerce (la tanto acclamata Amazon tax sugli acquisti effettuati via internet). Con il rischio di deprimere un settore in fase di avvio, dove non tutti gli operatori sono ricche multinazionali.
Di certo, una manovra non particolarmente «coraggiosa» e forse poco innovativa, poco orientata al Mezzogiorno, poco centrata sul rilancio delle imprese e molto centrata sullo spegnimento di fuochi. Certo una situazione diversa dalla stagione del PNRR dove si guardava con molto ottimismo al futuro. Pur in un contesto difficile, l’Italia non deve perdere l’opportunità di una primavera di speranza, che arriverà probabilmente in qualche altra manovra di bilancio. Non questa!