E invece, ci spiegano gli industriali, questo è un Paese strano, dove quando ti devi sedere attorno ad un tavolo per ragionare di lavoro ti spostano il dibattito sulle pensioni o su come salvare il posto di un migliaio di “navigator”, che dovevano aiutare altri a trovare lavoro ed oggi sono a spasso. Un Paese dove se ti azzardi a parlare di Sud, ti tirano fuori l'autonomia differenziata (ieri si chiamava federalismo. Altri tempi, ma il concetto è quello) e, dopo che l'hai realizzata, ti trovi fuori alla porta i picchetti di protesta se provi a chiedere compensazioni per i territori meno ricchi, quelli dove l'universalità dei servizi essenziali viene inghiottita dal corridoio di un ospedale fatiscente o da un tram che non passa.

Un Paese dove se ti azzardi a parlare di Sud, ti tirano fuori l'autonomia differenziata (ieri si chiamava federalismo
Mercoledì 09 Novembre 2022, 15:42
La notizia, almeno da ieri, è che Bari è tornata ad essere la città dove si disegnano le strategie per il Mezzogiorno che verrà. Lo era stata, almeno fino agli anni bui della pandemia, grazie alla Fiera del Levante. È tornata ad esserlo grazie all'assemblea degli industriali dove, seppur assenti premier e ministri impegnati a mettere in piedi un governo appena nato e già chiamato a ritessere delicati rapporti internazionali, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha lanciato un messaggio chiaro, lucido e forte che può sintetizzarsi così: a che serve la pioggia di soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) se non riusciamo a creare posti di lavoro e a sostenere le imprese che, afflitte dal caro-energia, rischiano di crollare? A che servono aiuti, superbonus, sgravi e detassazione se alla gente, quella che ogni giorno combatte spegnendo condizionatori e freezer per evitare licenziamenti, non portiamo risultati concreti? E alle famiglie che hanno cominciato ad erodere i loro risparmi e a fare di conto nei supermercati, cosa raccontiamo?
Bonomi, classe 1966, presidente degli industriali italiani dal 2020, non è uno “dolce di sale” , come si suol dire dalle nostre parti. Gli “inchini” alla politica, cui ci ha abituato per decenni buona parte del ceto imprenditoriale italiano, non gli sono consoni. Semmai, come accaduto con Draghi, rispetto per i ruoli e il profilo cui sono chiamati sul proscenio interno e estero sia i capi di governo che i capi degli imprenditori. E un pizzico di pragmatismo, che non guasta mai quando devi maneggiare – è il caso dell'Italia – un sacco di quattrini europei e devi provare a spenderli bene, magari non facendo naufragare il Fondo sociale nelle ciclovie tanto care ai turisti o nelle luminare a led delle sagre di paese, come purtroppo accaduto sinora, ma dirottando quei quattrini su posti di lavoro, cantieri veloci, innovazione (nelle strategie, prima che nei prodotti finali) e qualità della vita. E, con disoccupati e imprenditori falliti, la qualità della vita non la costruisci con le chiacchiere. Semmai con una visione (il Sud del 2032, appunto) che cammini su piedi piantati per terra (quello che si può fare ora, subito, non domani, per costruire quel Sud del futuro).
Sarà la comune esperienza imprenditoriale nel settore della farmaceutica con il presidente della Confindustria pugliese Sergio Fontana o sarà che i pugliesi sono un po' i “lombardi” del Sud, di certo c'è che tra il cremasco Bonomi e il canosino Fontana corre buon feeling almeno su un obiettivo: non perdersi in chiacchiere, non sventolare fumo e promesse davanti a chi, come gli imprenditori radunati ieri, ogni giorno deve alzare la saracinesca e sperare di portare a casa un risultato e poter pagare ancora uno stipendio ai propri dipendenti.
E dunque, basta chiacchiere su come riformare la riforma (non è un gioco di parole) del reddito di cittadinanza. E via i sogni dei 3mila bus elettrici, pure inseguiti dal sindaco Decaro, se quei bus non sono fabbricati in Italia. Se Pnrr deve essere, che serva a creare lavoro vero (e non sovvenzioni a pioggia), a risollevare il manifatturiero (grazie al quale l'Italia ha realizzato un terzo dei 581 miliardi di euro di export portati a casa lo scorso anno), a mettere in piedi una decina di progetti attorno alle Zone economiche speciali, magari con una task force dedicata all'obiettivo 2032 che affianchi il “ministro del Sud”. Insomma, a portare risultati concreti prima che l'onda lunga della guerra energetica (superata quella della pandemia) travolga tutto e tutti.
E invece, ci spiegano gli industriali, questo è un Paese strano, dove quando ti devi sedere attorno ad un tavolo per ragionare di lavoro ti spostano il dibattito sulle pensioni o su come salvare il posto di un migliaio di “navigator”, che dovevano aiutare altri a trovare lavoro ed oggi sono a spasso. Un Paese dove se ti azzardi a parlare di Sud, ti tirano fuori l'autonomia differenziata (ieri si chiamava federalismo. Altri tempi, ma il concetto è quello) e, dopo che l'hai realizzata, ti trovi fuori alla porta i picchetti di protesta se provi a chiedere compensazioni per i territori meno ricchi, quelli dove l'universalità dei servizi essenziali viene inghiottita dal corridoio di un ospedale fatiscente o da un tram che non passa.
E invece, ci spiegano gli industriali, questo è un Paese strano, dove quando ti devi sedere attorno ad un tavolo per ragionare di lavoro ti spostano il dibattito sulle pensioni o su come salvare il posto di un migliaio di “navigator”, che dovevano aiutare altri a trovare lavoro ed oggi sono a spasso. Un Paese dove se ti azzardi a parlare di Sud, ti tirano fuori l'autonomia differenziata (ieri si chiamava federalismo. Altri tempi, ma il concetto è quello) e, dopo che l'hai realizzata, ti trovi fuori alla porta i picchetti di protesta se provi a chiedere compensazioni per i territori meno ricchi, quelli dove l'universalità dei servizi essenziali viene inghiottita dal corridoio di un ospedale fatiscente o da un tram che non passa.
E ancora, rate, superbonus, cartelle esattoriali, autorizzazioni e svincoli: per ogni posto di lavoro che crei, 31 pagine da consegnare al lavoratore e chilometri di carta da far arrivare a Comuni, Province, Regioni e, su su, fino a Palazzo Chigi. Ecco, ci sono 170 miliardi di euro per evitare che tutte le chiacchiere sul Pnrr si risolvano in battute da talk show e non creino il 4-5% del Pil. Ci sono i fondi, ora, e c'è un Paese che, nonostante la pandemia e la guerra, è uscito alla grande da un triennio di crisi tra il 2017 e il 2019 e ha corso nella crescita, sfidando lo spettro della recessione e di un'inflazione galoppante in tutta Europa. “Fateci lavorare e fateci creare lavoro” dicono gli industriali del Nord guidati dal cremasco Bonomi, mettete sul piatto 16 miliardi per ridurre il cuneo fiscale e consentire a chi deve pagare gli stipendi di non restare ucciso dalle tasse e a chi deve percepirlo di poter spendere un euro in più nel supermercato. “Fateci lavorare, non vogliamo cassa integrazioni e aiuti assistenziali” dicono gli industriali del Sud guidati da Fontana. Ora tocca al nuovo Governo saper dare risposte all'altezza della sfida. Quella di un “Sud 2032” che non resti uno slogan nelle scartoffie delle commissioni parlamentari mentre il Paese - facendo i dovuti scongiuri - perde il treno Pnrr e sprofonda. Altre occasioni, a quanto ci è dato sapere, non ne avremo.