L’immagine di Enrico Letta che, tutto solo, si aggiunge al corteo per la pace di Roma, viene riconosciuto e apostrofato dai gentili pacifisti che gli danno del guerrafondaio e del fascista finché, sempre solo, si allontana è un’immagine triste e penosa. Sorge spontanea la domanda: ma Letta perché ci è andato? La piattaforma politica della marcia con protagonista Giuseppe Conte era a dir poco ambigua e Letta sapeva che proprio la sua piena condivisione della scelta di inviare armi all’Ucraina lo aveva reso inviso a gran parte dei promotori, sapeva di non essere gradito, eppure c’è andato umiliando se stesso e il suo partito.
Nei mesi passati Letta si era distinto per la nettezza della condanna dell’aggressione russa e per il forte sostegno all’Ucraìna. Molti, anche tra coloro che non lo sostengono, gli avevano dato atto di coraggio e coerenza.
Ed ecco che, improvvisa, senza spiegazioni, la sua partecipazione a quella manifestazione è apparsa se non come un voltafaccia quantomeno come una brusca correzione di rotta condivisa da gran parte dei dirigenti del PD, da Bonaccini a Nardella, da Provenzano alla De Micheli, da Fassino alla Serracchiani, da Orlando a Benifei.
Risultato: il PD si è ricompattato nel trasformismo e nel conformismo dettati dalla convenienza e dai posizionamenti interni in vista del congresso. Alla fine di questa strada si scorge, ormai incombente, il ritorno alla subordinazione a Conte e l’abbraccio con i 5 Stelle. Certo, chi non è d’accordo può sempre migrare verso il terzo polo così concorrendo alla fine del PD.
Sorto nel 2008 dalla fusione tra i Democratici di sinistra eredi del grosso del PCI e la Margherita espressione della sinistra democristiana il PD è nato come partito di centro sinistra, non di sinistra. Nelle intenzioni del suo fondatore e primo segretario, Valter Veltroni, il modello di riferimento era quello del partito democratico americano e non quello dei partiti socialisti europei e sebbene nel 2008 con la crisi finanziaria i giorni della globalizzazione felice e delle terze vie volgessero al termine il messaggio in Italia non era ancora pervenuto.
Negli anni successivi con la graduale perdita di consensi e la nascita del Movimento 5 Stelle vien meno la vocazione maggioritaria del PD appena interrotta dall’ abbagliante 41 per cento conquistato da Renzi alle europee del 2014 che tuttavia precipita al 18 per cento nelle politiche e li resta inchiodato anche oggi dopo 5 anni di scontri, incontri, alleanze, nuove rotture con i 5 Stelle. Dilaniato da tre successive scissioni, la prima, a sinistra, quella voluta da Bersani, D’Alema e Speranza si sta ricomponendo ora ma intanto si aggravano gli effetti delle scissioni di Renzi e Calenda a destra.
Più gravi delle scissioni sono le torsioni dei significati e del linguaggio. Il merito? È di destra. La nazione e la patria? Di destra. Il mercato? Destrissima o, peggio, sinistra corrotta.
Disciplina, gerarchia, qualunque ordine è destra, è pulsione autoritaria per questa sinistra che o sta sulle barricate o non è.
Silenti e complici di fronte all’aggressione, alle violenze, agli stupri si ripresentano per pretendere non la fine dell’invasione russa ma dell’invio di armi agli ucraini e cioè la resa degli aggrediti e la condanna politica e morale di chi li aiuta e li sostiene.
Dunque, anche contrastare e combattere le dittature, persino quando ne va della vita e della libertà di un popolo, è di destra e se gli mandi armi perché possa difendersi sei un fascista.
Naturalmente chi pensa e parla così continua a ritenersi di sinistra, di «sinistra-sinistra», di quella sinistra dura e pura dentro la quale - celiava Pietro Nenni – c’è sempre uno più puro che ti epura. Di questo tipo di sinistra fanno parte i post (ma non ex) comunisti italiani che con Putin hanno in comune la convinzione che il crollo dell’URSS sia stata non una tragedia ma «la più grande tragedia del XX secolo». Insieme a loro marciano i pacifisti cattolici immemori del Cristo venuto a portare la spada e non la pace e ignari delle lezioni della storia moderna, infine coloro che non avendo idee proprie prendono a prestito quelle degli altri e i tanti che secondo l’arguta osservazione di Enrico Mentana «parlano di pace perché vogliono essere lasciati in pace», non disturbati dal frastuono del mondo e dal sangue che scorre.