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Destra e sinistra, è il momento «identitario» in attesa delle scelte

 
Oscar Iarussi

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Oscar Iarussi

Destra e sinistra, è il momento «identitario» in attesa delle scelte

Sicuramente è in atto un ritorno della politica, ma quali culture politiche alternative si affronteranno non è dato saperlo

Domenica 30 Ottobre 2022, 12:03

12:11

«La mortadella è comunista. Il salame socialista. Il prosciutto è democristiano. La coppa… liberale. Le salcicce, repubblicane. Il prosciutto cotto è fascista». Ve lo ricordate Francesco Nuti? Nel film Caruso Pascoski (di padre polacco) scherzava sui criteri politico-gastronomici degli ultimi anni Ottanta. Alla metà dei Novanta non avevamo mai sentito nominare la «sovranità alimentare» oggi in auge, però Giorgio Gaber cantava: «La patata per natura è di sinistra / spappolata nel purè è di destra / Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra». Con geniale ironia i due artisti segnalavano l’inizio della deriva antipolitica che ha scandito un trentennio della nostra storia, dal 1992 di Mani Pulite e Tangentopoli fino a oggi. Caduto il Muro di Berlino nell’89 e archiviata – credemmo – l’Europa divisa in blocchi Est contro Ovest, abbiamo vissuto una serie di stagioni sotto il segno della fine della politica o addirittura «la fine della Storia» che dette il titolo a un famoso libro del politologo statunitense Francis Fukuyama (1992).

Al declino della politica sono riconducibili, come cause o effetti, vari fenomeni: le striscianti intrusioni del potere giudiziario nel legislativo ed esecutivo, il gigantesco passatempo istituzionale sulle regole del gioco con l’eterna discussione sulla legge elettorale, la nascita dei partiti o movimenti personali da Berlusconi a Grillo. Ma anche la lamentosa aggressività del Nord e la soppressione della questione meridionale nel dibattito pubblico, il declino della militanza di massa sostituita dalle lotte o dalle alleanze fra i ceti dirigenti interni ed esterni alle singole formazioni. E ancora i populismi di diversa estrazione, il nazionalismo di ritorno come risposta alle contraddizioni del mondo globale, il ricorso ai governi tecnici etc.

Il filosofo Norberto Bobbio, in un fortunato saggio edito da Donzelli nel 1994 - Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica - ribadì che l’antinomia fra destra e sinistra ha ancora un senso se la guardiamo dal punto di vista teorico: il diverso atteggiamento che le due parti riservano all’idea di eguaglianza. «Coloro che si proclamano di sinistra - spiegava Bobbio - danno maggiore importanza ai modi di ridurre le diseguaglianze; mentre coloro che si proclamano di destra sono convinti che le diseguaglianze siano ineliminabili». Le cose sono cambiate da allora? Sì e no. Sì, perché in Italia la sinistra ha sostanzialmente rinunciato al primato dell’idea di eguaglianza, che talora è diventata una bandiera della destra e da ultimo il vessillo del Movimento Cinque Stelle (un portato dell’antipolitica per eccellenza). No, non sono cambiate, perché i nodi di fondo prima o poi vengono al pettine. Per esempio, il governo Meloni con le sue radici nella destra sociale lavorerà per avere più o meno Stato nell’economia? Sarà più liberista o più assistenzialista? Con quali politiche di contenimento della povertà?
Le prime mosse del neopresidente del Consiglio sono state «identitarie», dicono tutti gli osservatori ricorrendo a un aggettivo che, recita il vocabolario Treccani, «si riferisce all’identità psicologica personale di ciascuno». Insomma: io sono Giorgia e resto Giorgia... Donna, madre, cristiana, italiana. Arde caso mai in lei la fiamma del piccato, vedi la circolare di Palazzo Chigi sull’appellativo da utilizzare, poi ritirata dopo le polemiche: «Chiamatemi il presidente del Consiglio, anzi no, va bene anche Giorgia». Soprattutto c’è il comprensibile desiderio di parlare al proprio elettorato, di non rinnegare le battaglie giovanili e quelle di ieri l’altro, di rinfrancare insomma il popolo delle libertà rispetto al frastornato popolo delle eguaglianze. Ecco dunque i primi pronunciamenti sull’innalzamento del tetto nell’uso del denaro contante fino a diecimila euro o contro la presunta dittatura sanitaria nella lotta al Covid, con un sentore di «liberi tutti» e il sostanziale perdono per i medici no vax (qui ha ragione il presidente Mattarella nell’invito alla cautela).

D’altro canto, la sinistra appare sperduta nel buio di una crisi post-elettorale che è a sua volta innanzitutto identitaria. È il centrosinistra che negli ultimi dieci anni, temendo la sconfitta infine puntualmente inveratasi, si è trincerato nelle alchimie di palazzo ed è salito sull’ultima tradotta del governo Draghi senza neppure provare a concepire dove, come e quando scendere. Per ora sta rispondendo con la critica linguistica nei confronti del lessico meloniano: una reazione disastrosa, visto che la prima donna premier della storia d’Italia surclassa simbolicamente qualsiasi osservazione sul linguaggio di genere. Intanto il Pd prepara un congresso che, annunciato subito dopo il voto, non suscita interesse o passioni se non fra gli adepti dei capicorrente auto-candidati a prendere il posto di Letta, alcuni dei quali sembrano volere non più, ma meno eguaglianza nei programmi futuri.

La crisi italiana cominciata nel 1992 segna senz’altro un punto di svolta con l’avvento al potere della destra i cui sviluppi saranno tutti da ponderare, sicuramente è in atto un ritorno della politica, ma quali culture politiche alternative si affronteranno non è dato saperlo. Ancora Gaber: «Non si sa se la fortuna sia di destra / la sfiga è sempre di sinistra... / Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra».

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