Foggia, quattro ragazzi spruzzano dello spray al peperoncino nei corridoi e la preside è costretta a far evacuare la scuola. Rovigo, una docente di un istituto superiore viene colpita da alcuni pallini in gomma, esplosi da uno studente con una pistola ad aria compressa, mentre faceva lezione in classe; l'episodio è stato ripreso da un altro studente, che lo ha diffuso sui social. Bari, un insegnante è stato vittima di una spedizione punitiva guidata dal padre di un’alunna cui aveva messo una nota in condotta. Sono solo alcuni degli ultimi episodi che riguardano i giovani e la scuola. Il tema è quanto mai vasto e non può essere affrontato senza tener d’occhio la società attuale nel suo complesso.
La prima considerazione è che stiamo raccogliendo quanto seminato. E, occorre riconoscerlo, abbiamo seminato poco e male. Sul piano dell’istruzione in sé l’avvicendarsi di ministri e di relative riforme ha prodotto una frammentazione e una confusione che si è riversata sulla qualità dell’istruzione. Negli ultimi vent’anni si sono succeduti 11 ministri, compreso l’attuale Giuseppe Valditara, che dovrà occuparsi anche del «merito». Orientamenti politici diversi, per un lungo periodo (dal 2008 al 2020) accorpamento con Università e ricerca, visioni confuse e contraddittorie sul futuro hanno reso impossibile la coerente realizzazione di un progetto educativo e scolastico. La riconosciuta autonomia ai singoli istituti ha contribuito poi all’idea di una scuola fai da te, dove si svolgono molte attività complementari ma insufficiente attività curriculare, anche perché le scuole devono farsi propaganda per attrarre più iscritti. I risultati si vedono ai test Invalsi o ai test d’accesso all’Università, una disfatta.
Ma va anche detto che sulla scuola è stata riversata l’intera responsabilità educativa dei ragazzi. Le famiglie hanno in larga misura abdicato al loro ruolo e quella che la legge non a caso chiama «responsabilità genitoriale» è stata delegata appunto alla scuola, ai media, ai nonni. Per il lavoro, per gli impegni, per le separazioni sempre più numerose, la famiglia non è più il luogo di educazione per antomasia. Nel frattempo sono scomparse anche altre agenzie che contribuivano molto alla formazione dei più giovani: a cominciare dalle parrocchie per finire alle scuole dei partiti. Oggi sopravvivono solo le associazioni sportive; in alcune si insegnano i valori autentici dello sport, in molte altre l’aspetto competitivo ed economico prende il sopravvento trasformandole spesso in luoghi diseducativi. Né si può tacere sul contesto generale: parliamo di ragazzi cresciuti nella stagione dei diritti senza che qualcuno abbia spiegato e mostrato loro che esiste un rovescio della medaglia fatto di doveri.
Terzo elemento da considerare è l’influsso dei media e in particolare di Internet sulla vita sociale e scolastica. Da un lato la scuola ha spinto moltissimo sull’utilizzo di strumenti elettronici nello studio, con i tablet preferiti ai libri di carta, senza però preoccuparsi delle conseguenze che questi mezzi producono sugli individui e sui ragazzi in particolare. Cala la capacità di concentrazione, si fa molta fatica a memorizzare contenuti, si riduce il tempo dell’attenzione che secondo alcuni studi americani e tedeschi oggi sarebbe attorno ai 5 secondi, viene facilitata la tendenza a isolarsi, i soggetti più fragili diventano prede da colpire, come mostrano i numerosi e crescenti episodi di cyber bullismo. Ma di questi effetti nessuno se ne è preoccupato e anzi tutti, a cominciare dagli stessi genitori che ci capivano meno dei loro pargoli, hanno inneggiato al progresso e preferito quegli istituti «più moderni», meglio, più di tendenza.
Molte scuole ora proibiscono agli alunni l’ingresso in classe con il telefonino, strumento perverso che se da un lato permette di mantenere sempre i contatti con i genitori, dall’altro serve per riprendere e diffondere – fino ai limiti dell’estorsione – gli episodi che avvengono in classe, per dileggiare gli insegnanti, per estraniarsi completamente dalle lezioni. Un divieto tardivo e ancora poco esteso perché malvisto anche dagli stessi insegnanti, che a loro volta dovrebbero rinunciare allo smartphone.
L’insieme di tali situazioni non è senza conseguenze sullo sviluppo di un soggetto in divenire. I due anni di pandemia con la conseguente didattica a distanza hanno mostrato in maniera inequivocabile i danni subiti dai giovani. Sarebbe un errore considerare quei danni conseguenza diretta della Dad, che invece ha funzionato da catalizzatore, facendo emergere situazioni di fragilità nascoste sotto pelle e che venivano camuffate con altri problemi.
Ciò che si può dire oggi è che siamo di fronte a generazioni di ragazzi che hanno sempre meno consapevolezza delle conseguenze delle loro azioni. Lo spruzzo al peperoncino come le sfide – talvolta pericolosissime – lanciate all’interno di gruppi ristretti, i cosiddetti challenge, sono esempi di tale irresponsabilità. Ed è su questo fronte che bisogna lavorare, innanzitutto abbassando le inutili protezioni erette dai genitori, che magari così cercano di superare il senso di colpa per il poco tempo che dedicano ai figli, per l’assenza di dialogo, per la mancanza di attenzioni. Se non torneremo a seminare e molto su questi terreni diventati aridi e impervi, le future generazioni non solo saranno sempre più ignoranti e violente, ma soprattutto non saranno in grado di diventare classe dirigente di un Paese che oggi si affida ancora agli ottantenni.