La Presidente Meloni, nel suo discorso di insediamento, ha indicato un approccio nuovo con l’Europa, individuando una coincidenza fra integrazione e interessi nazionali. D’altronde fra gli oltre 200 miliardi da gestire provenienti dal Next Generation e la Banca centrale europea che ha finora acquistato debito pubblico italiano per 363 miliardi non esiste altra scelta. L’Europa è ormai l’irrinunciabile scenario di una comunità di destino alla quale apparteniamo con gli altri partner continentali. E la felice scelta di affidare a una personalità competente ed esperta come Raffaele Fitto il Ministero per gli Affari europei appare coerente con questa nuova scelta di campo.
Viene allora da chiedersi se nel suo Partito possa ritenersi ormai del tutto superato il Progetto di legge costituzionale presentato nella scorsa legislatura dai deputati di Fratelli d’Italia con la stessa Giorgia Meloni prima firmataria. Con esso si prevedeva la modifica dell’art. 117, in collegamento con l’art. 11, che fissa il primato del diritto dell’Unione europea su quello interno, affidandone di conseguenza il rispetto alla giurisprudenza vincolante dei tribunali europei.
Quella proposta, peraltro del 2018, era fondata sulla necessità di recuperare il principio di sovranità nazionale rispetto all’ordinamento dell’Unione europea il quale avrebbe potuto operare solo in quanto con essa compatibile. Si voleva, quindi, porre in discussione un aspetto essenziale per il funzionamento dell’intero sistema europeo e cioè quello della disciplina giuridica uniforme (ma non necessariamente identica) delle politiche e delle materie oggetto del Trattato. La conseguenza sarebbe la fine dell’intera UE.
In realtà la presunta salvaguardia della sovranità nazionale, nel quadro attuale, ha ben poco senso. Infatti, da un lato la partecipazione dell’Italia al processo d’integrazione europea non ha comportato alcuna cessione di sovranità (come è dimostrato dalla possibilità di uscirne, v. il Regno Unito) bensì la delega dell’esercizio di una pluralità di competenze (attraverso il principio di attribuzione) ritenuti più efficacemente spendibili in sede sovranazionale a partire dalla considerazione della sopravvenuta scomparsa di mercati nazionali. Per di più, con il passare degli anni, una pluralità di problemi e interessi hanno sempre più evidenziato l’assenza di confini (ambiente, economia, risorse energetiche e idriche, terrorismo e criminalità organizzata, salute) con la conseguenza dell’impossibilità di concentrare l'autorità ultima e il monopolio normativo nell’unica fonte nazionale, concentrazione certamente a scapito di un esercizio effettivo dei poteri sovrani che resterebbero solo formali e apparenti.
Lo stesso funzionamento delle istituzioni «comunitarie» è fortemente posto a tutela delle singole sovranità statali considerato che in molte materie di grande rilievo è necessaria l’unanimità per l’adozione degli atti normativi e che, laddove prevista la maggioranza, esistono ulteriori procedure di «riflessione» prima di sancire l’effettività degli stessi. Inoltre, ricordando che la fonte dell’intero sistema resta un trattato internazionale, pure la relativa modifica è sempre sottoposta non solo alla necessaria firma dei rispettivi governi ma, per di più, alla ratifica (parlamentare o referendaria) di ogni Stato membro. In un sistema in cui è ben presente il potere di veto di ciascun Membro di sovranità nazionale ce n’è fin troppa!
Dai firmatari tale «recupero» veniva motivato anche con riferimento ad una lettura, del tutto superficiale e impropria, delle sentenze di alcune Corti costituzionali, fra cui quella tedesca. Quando parliamo di recupero di sovranità dimentichiamo che, al contrario, proprio grazie alla condivisione delle sovranità l’Italia è riuscita a salvarsi dal fallimento economico e sociale. Il principio di solidarietà, infatti, è la ragion d’essere dell’integrazione e ne abbiamo usufruito ampiamente: il sovranismo è il suo contrario. È bene ricordarlo con chiarezza. Ed allora, non è stato tutelato l’interesse nazionale? In realtà esso ormai coincide con quello europeo come, d’altronde, ora indicato dalla stessa Presidente Meloni nel suo discorso di insediamento. Certo, il primato del diritto «comunitario» non può esercitarsi a spese, peraltro ipotetica, dei principi inviolabili del nostro ordinamento.
La giustificazione per la modifica costituzionale, in conclusione, era legata per i firmatari alla necessità di meglio tutelare il popolo italiano, il suo Parlamento e i relativi poteri. Ma non può dimenticarsi che ormai siamo «gemellati» con altri 26 popoli in una istanza democratica e legislativa che si chiama Parlamento europeo in espressione della seconda cittadinanza in possesso di ciascuno di noi, quella europea. Anch’esso è espressione e garante di popoli sovrani, compreso il nostro.