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Rischio atomico reale, ma le coscienze dormono al pari della ragione

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

Rischio atomico reale, ma le coscienze dormono al pari della ragione

Che cosa è cambiato? Perché siamo diventati così insensibili ed egoisti? Chi ci ha portati (a nostra insaputa?) a questa condizione?

Sabato 08 Ottobre 2022, 14:16

Stiamo vivendo un tempo carico di angosce. Caro bollette, guerra in Ucraina, lavoro a rischio, pandemia sempre in agguato, nuovo governo, clima impazzito. Ansie e paure con le quali ormai conviviamo da mesi. Ed è naturale che sia così perché siamo di fronte a minacce che mettono a rischio il benessere così faticosamente conquistato e chi, quel benessere ancora non ce l’ha, vede in pericolo la possibilità di raggiungerlo.

Ma nel vasto catalogo di paure appena citato ne manca una e non da poco: quella di una guerra nucleare che, come sosteneva Einstein sarebbe l’ultima combattuta con armi, poiché le successive potranno essere combattute solo con le fionde. Detto fuor di metafora, il pericolo concreto della fine dell’homo sapiens, per sua stessa mano. In proposito esiste una ricca filmografia in cui è stato raccontato che cosa resterebbe al termine di un conflitto nucleare.

A causa della sciagurata invasione dell’Ucraina e della eccezionale resistenza di questa, ancorché aiutata e sorretta da Stati Uniti ed Europa, si fanno insistenti i proclami di Mosca circa il ricorso all’arma nucleare per avere ragione di Zelensky e compagni. Un bluff? Un’arma di pressione? Oppure è una minaccia concreta e da un momento all’altro potremmo trovarci di fronte a un conflitto incontrollabile e dagli esiti catastrofici per l’esistenza del genere umano e per la stessa vita sulla Terra? Sono interrogativi inquietanti e che nei decenni scorsi hanno portato alla mobilitazione di decine di milioni di persone perché si disinnescasse il rischio di un conflitto nucleare. Il 15 ottobre prossimo ricorre il 60 anniversario della crisi della Baia dei porci, quando Usa e allora Urss furono sul punto di una guerra totale.

Pericolo scongiurato grazie all’appello alla pace rivolto da papa Giovanni XXIII.

Ma ci fu in quei giorni e in tutta una serie di altre circostanze una mobilitazione dal basso – di giovani soprattutto ma anche di quelli che oggi si chiamano corpi intermedi – che crearono una tensione di pace, fecero toccare con mano la netta avversione alla guerra, spinsero i politici a osare. Tutto ciò che oggi sembra mancare. Abbiamo assistito solo a un blando pacifismo di maniera, originato principalmente da una insopprimibile antipatia verso gli Stati Uniti e la Nato, ritenuta il braccio armato per tenere sotto dominio l’Europa. Poi, basta. La paura per il nostro piccolo orticello ha preso il sopravvento. Il problema che più tocca è se si potrà continuare a fare la doccia, non certo quanto pericolosi siano gli «esperimenti nucleari» annunciati da Mosca; o se si potrà andare in piscina non se si può tentare qualcosa per far ragionare governanti impazziti.

La ragione del piccolo orto prevale sull’interesse della comunità. E questo in qualche misura è comprensibile. Ma oggi rispetto all’attenzione e alla tensione dei decenni scorsi le coscienze dormono al pari della ragione, pur essendo il rischio atomico assai più concreto e imminente. Che cosa è cambiato? Perché siamo diventati così insensibili ed egoisti? Chi ci ha portati (a nostra insaputa?) a questa condizione? Domande difficili e con risposte complesse. Ma un dato è certo: la «società silente» si è sviluppata nei Paesi a più alto sviluppo tecnologico. La civiltà del web ci ha abituati a guardare solo all’oggi, al tempo presente. Non abbiamo avuto il tempo di scegliere: ci siamo caduti dentro e basta. Oggi, adesso, quando mi connetto vivo la mia vita insieme a milioni di persone che fanno la stessa cosa in quel momento.

All’inizio era una straordinaria possibilità per mobilitare le coscienze, come dimostrò la cosiddetta «primavera araba» fra 2010 e 2011. Ma proprio il travolgente sviluppo tecnologico l’ha resa sterile nel tempo in quanto ha plasmato diversamente le persone. Da un’etica solidale si è passati a un’etica individuale. Si dirà: il caso Iran, reso possibile grazie al web, smentisce questa teoria. In realtà la conferma, intanto perché la rivolta giovanile è solo a Teheran, la capitale, e non in tutto lo sconfinato Paese e poi perché siamo in un territorio che non è ancora «a tecnologia matura» come l’Europa o gli Usa. In Iran le ragazze lottano e muoiono per andare a volto scoperto, che è quanto di meno digitale possa esistere.

Nell’abbracciare senza riserve la società tecnologica non ci siamo accorti che annebbiava anima, sentimento, sensibilità aiutando a far crescere e dominare l’innato individualismo. Dietro uno schermo e una tastiera ci sentiamo onnipotenti, al di sopra dello spazio e del tempo. Basta vedere l’enorme sviluppo di tutto ciò che è a richiesta (in Italiano on demand), reso possibile grazie all’intelligenza artificiale, una cui applicazione (i sistemi a comando vocale) sta avendo un successo enorme.

Possiamo chiedere e ottenere di tutto: dalle previsioni del tempo, alla consegna della pizza. Chissenefrega se così facendo non conosciamo più il pizzaiolo e il cameriere? È la prigionia dorata del web che porta all’annebbiamento delle coscienze, all’isolamento, all’individualismo. Alexa, ci sarà la guerra nucleare?

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