Non è da Paese civile chiedere una Tac e sentirsi rispondere, «fra un anno». Scusate, ma se io sto male ora e l’attesa mi fa morire? Problemi tuoi, potevi non ammalarti. Anzi, visto che ci sei, potevi essere ricco e pagarti la Tac coi soldi tuoi. Come in effetti già fa chi può, e sempre più spesso anche chi non può. Oppure vai a farti curare dove forse la Tac puoi farla prima di morire. Scusate, ma perché io malato di Bari devo essere curato peggio di uno di Milano? Beh, sai, Milano è Milano e Bari è Bari. Beh, sai cosa? Sembra ineluttabile come un destino, una causa persa. E una domanda stupida. Ma così va nel Paese più diseguale d’Europa. Diseguale a livello di Paesi del Terzo Mondo, se pure.
Eppure, la Tac è una cosa e Sud e Nord un’altra. Nel senso che la barbarie delle liste di attesa dipende dalla differenza di mezzi a disposizione. Ma a volte è un alibi. È vero che non ci sono Tac a sufficienza, come non ci sono tutti i medici e i tecnici necessari. Ma quelle che ci sono vengono utilizzate in orari di ufficio e non sia mai a fine settimana. E vengono utilizzate sia per i pazienti ricoverati che per quelli non ricoverati, concorrenza nel dolore. E non sempre il medico di base o lo specialista che la prescrivono indicano la priorità cui corrisponde un tempo di attesa (quand’anche rispettato). E non c’è niente di più illegittimo di una chiusura delle liste come se si fosse al tutto esaurito di un concerto.
La speranza è che sia solo un sospetto il sospetto che i tempi di attesa siano un mezzo per dirottare il paziente verso strutture private. A pagamento, ovvio. La medicina di classe. E altro discorso ancora queste Tac e queste Risonanze e queste Pet sempre da riparare, se non addirittura posteggiate in qualche scantinato.
Non se ne può più, come la Cgil di Puglia ha giustamente titolato la campagna della quale la “Gazzetta” ha parlato mercoledì. Con tanto di modulo di reclamo se necessario. E la richiesta che in caso di necessità l’esame sia svolto, sì, nell’ambito dell’attività libero-professionale intramuraria, ma con spesa a carico della Asl. Altrimenti spieghino perché per una mammografia ci vogliano 178 giorni se la visita è normale e solo 15 se a pagamento.
Anche per le liste di attesa un anziano su dieci al Sud non si cura più. E anche per questo si muore prima in un Sud che un tempo aveva tutto per morire dopo. Durata della vita ora più lunga al Centro Nord. E «mobilità passiva», i viaggi della speranza, risultato spietato di una ingiustizia territoriale incostituzionale come una sentenza capitale. Tanto da far credere che la sanità al Sud debba rimanere in quelle condizioni anche per costringere i meridionali ad andare a curarsi al Centro Nord. Con la beffa che più lo fanno pur non volendolo, più posti letto vengono cancellati al Sud: se vanno via, che li teniamo a fare? E ogni ricovero forzato al Centro Nord non solo carica di costi il Sud (oltre 200 milioni all’anno la Puglia). Ma accentua il divario che ogni governo a parole si impegna a ridurre (non sia mai detto cancellare).
Il fatto è che se sei cittadino lombardo ti spettano 2.529 euro all’anno di spesa sanitaria dello Stato, se sei pugliese 1.639, se sei lucano 1.658. Perché? Eppure secondo la citata Costituzione i diritti di cittadinanza (a cominciare dalla salute) non possono essere diversi a seconda di dove si nasce o si vive. Perché al Centro Nord ci sarebbero più anziani, cioè persone più bisognose di cure. Senza tener conto che un anziano veneto è un anziano più benestante di uno calabrese. E che quello calabrese non solo deve essere più povero ma deve anche potersi curare meno. Effetto di una sciagurata decisione delle Regioni cui quelle del Sud (occorre dirlo) si presentarono impreparate e sprovvedute.
Così la Puglia è stata scippata di 5 miliardi in 25 anni, e quanti con quella cifra potevano essere curati meglio e vivere più a lungo. Mancato soccorso e omicidio di Stato. Che ora con l’autonomia differenziata a Lombardia, Veneto, Emilia Romagna si vorrebbe far diventare un diritto di legge. Diritto consistente nel dare sempre di più a chi ha sempre avuto di più, sempre meno a chi ha avuto sempre meno. Spesa storica, si chiama: così è sempre andata, perché cambiare? E per il Sud, poi? Meno medici, meno infermieri, meno macchine, meno ospedali, meno vita. Più liste d’attesa. La trappola più insopportabile dell’eterna attesa del Sud.