Il consenso elettorale durevole è il risultato di un processo lungo e molto complesso. Alla base dovrebbe avere l’identità del partito. Tutto questo dev’essere ben caratterizzato, tendenzialmente costante, e dev’essere percepibile con sicurezza dagli elettori. Si tratta di una regola che naturalmente vale a destra e a sinistra, pressoché in tutti i paesi. Naturalmente sono possibili degli exploit, ma generalmente questi sono di durata limitata (lasciando stare fenomeni recenti, storicamente c’era stato in Italia il Fronte dell’Uomo qualunque, fra il 1946 e il 1949).
La costruzione dell’identità – essenziale per il radicamento di un partito - non può riuscire in seguito a operazioni affrettate o di dubbia caratterizzazione dello schieramento. Una volta edificata e riconosciuta dagli elettori, essa deve rimanere relativamente costante nei contenuti. A questa condizione di base, che la storia della politica ha dimostrato essere sostanzialmente insostituibile, deve aggiungersi la popolarità del leader: anch’essa è il risultato di un processo che non può essere improvvisato, ma deve avvenire a seguito di un lavoro politico che la renda riconoscibile, stabile e sia perciò capace di edificare intorno al partito un consenso.
La prima conseguenza di tutto questo è la sostanziale impossibilità di cambiare sia la caratteristica identitaria, sia il programma, sia il nome di base del partito. Ogni organizzazione politica occupa quindi una propria collocazione, che in qualche caso diventa addirittura storica. Questo si è visto sia nella destra sia nella sinistra del quadro politico di un Paese. Nel programma, nella fisionomia e nell’azione politica di ciascun partito, possono esserci nel tempo delle oscillazioni.
Veniamo a qualche concreto esempio italiano. Il Partito comunista italiano (PCI), proprio sulle basi finora descritte, aveva proposto un programma e costruito un consenso elettorale, dimostratosi di lunga durata e di notevole consistenza nella vita politica. Il consenso elettorale ha sostenuto questo partito, sia nel breve periodo del dopoguerra in cui esso ha partecipato anche al governo, sia durante la lunga fase di un’opposizione che ha dimostrato anch’essa di avere un peso nella vita del Paese.
Nel 1989, il segretario del PCI Enrico Berlinguer, volle attuare la cosiddetta svolta politica della Bolognina, che ha dato quindi inizio a un vero e proprio capovolgimento della linea politica del partito. Il PCI abbandonerà infatti il suo storico programma, il suo nome e i suoi simboli, dando inizio a un programma politico radicalmente opposto a tutta la sua storia. Ha voluto candidarsi al governo con le forze politiche di centro contro le quali aveva fatto una lunga opposizione. Al momento del passaggio, la base sociale del PCI era però ancora quella della sua lunga storia. Quando, col capovolgimento del programma e la rinuncia nel proprio nome alla definizione di «comunista» vorrà infine chiamarsi Partito democratico (PD), dovrà constatare che la rinuncia al suo patrimonio storico portava al risultato della perdita della propria storica base elettorale. Di tale fenomeno, le recenti elezioni politiche hanno presentato un ulteriore consuntivo.
Il PD alle recenti votazioni ha proposto un programma, e delle alleanze, che concludevano in modo radicale il percorso incominciato da Berlinguer. La linea del partito guardava alle richieste e alle aspettative di un elettorato che trovava già nel centro-destra i suoi interpreti. È seguito quindi un cattivo risultato elettorale: il programma era stato invece quello di battere il partito di Giorgia Meloni. La strada che porterà a tale risultato era stata avviata da Berlinguer e proseguita dai leader a lui succeduti. A Berlinguer erano seguiti altri otto segretari del PD, troppo rapidamente per costruirsi un retroterra politico: Walter Veltroni, dal 2007 al 2009; Dario Franceschini, nel 2009; Pierluigi Bersani, dal 2009 al 2013; Guglielmo Epifani, nel 2013; Matteo Renzi, dal 2013 al 2018; Maurizio Martina, reggente e quindi segretario dal 2018; Nicola Zingaretti, dal 2019 al 2021. Nello stesso 2021 arriva Enrico Letta, con la conclusione politica che abbiamo visto compiersi.
L’operazione di sostituire la base sociale che era stata del PCI, si era dimostrata perdente sul piano del consenso elettorale. Enrico Letta che oggi non ha conseguito l’auspicato consenso degli elettori, ha onestamente riconosciuto la sconfitta, che però non era addebitabile interamente a lui, e si è dichiarato dimissionario. La base del partito, quando esso si chiamava PCI, era costituita da una classe operaia che ha finito con l’andarsene altrove. Da Berlinguer in poi il PD aveva voluto - ma sempre con minore successo - inseguire un ceto medio che era già rappresentato da altri partiti.