In questi giorni i ministeri stanno distribuendo sui territori i soldi del Pnrr per le prime tranches di interventi finanziati dal Recovery Fund europeo. Si tratta della più importante operazione straordinaria di finanziamento infrastrutturale per il Sud degli ultimi decenni, forse la più importante di tutta la storia repubblicana. Un’opportunità dalla quale dipende la possibilità per le Regioni meridionali di recuperare in parte il divario di sviluppo rispetto alle altre parti d’Italia e d’Europa, un’occasione dunque imperdibile per il Mezzogiorno.
Come tutte le operazioni straordinarie anche questa si prefigura irta di difficoltà e di possibili intralci, molti dei quali non sono a tutt’oggi prevedibili e dovranno quindi essere risolti man mano che si presenteranno. Tenendo conto che il Piano ha tempi di realizzazione molto stretti per spendere i circa 230 miliardi di euro tra prestiti e finanziamenti a fondo perduto che la Commissione europea ci ha assegnato, un fattore-chiave sarà dato dalla velocità delle amministrazioni di trasformare i finanziamenti in opere concrete, cioè, come ormai è invalso dire, di «mettere a terra» i progetti. È proprio questo un punto dolente degli enti territoriali meridionali ed è bene che tutti gli attori coinvolti siano sin da subito avvertiti che proprio dalla capacità del pubblico di dare attuazione repentinamente e adeguatamente ai progetti del Pnrr dipenderà in buona misura la riuscita di questa operazione.
Un recente studio di Banca Italia di Fabio Busetti e di suoi collaboratori spiega come l’Italia si distingua per tempi di progettazione ed esecuzione delle opere pubbliche particolarmente lunghi: in media, nel nostro Paese la realizzazione di un’opera pubblica dura 4,4 anni, di cui 2,5 anni, sono impiegati nella progettazione, 0,6 anni per l’affidamento dei lavori e «solo» 1,3 per la loro esecuzione. Le cause di tale lentezza sono individuate in un quadro di regole non adeguato, in un’insufficiente capacità delle cosiddette «stazioni appaltanti» nello stabilire priorità, selezionare i progetti, redigere i contratti, monitorare la realizzazione degli interventi. Tutto questo si riflette in primo luogo in un aumento dei costi: ad esempio, un chilometro di linea ferroviaria di alta velocità costa in Italia 33 milioni di euro, contro i 14 della Spagna e i 15 di Germania e Francia (tutti Paesi, però, con meno montagne di noi). Ma si traduce anche in un ridotto stimolo delle infrastrutture sull’attività economica.
Le grandi imprese del cosiddetto «settore pubblico allargato» nazionale (come Ferrovie dello Stato) o le aziende a rilevante capitale pubblico (Enav SpA, Terna, ecc.) hanno storicamente un’elevata capacità di progettazione e realizzazione degli interventi infrastrutturali, e dunque si mantengono entro tempi di realizzazione «europei». Sono invece le amministrazioni pubbliche che mostrano «tempi di attraversamento» dei progetti dilatati. Passata cioè una fase, ad esempio la progettazione, prima di entrare in quella successiva, l’aggiudicazione, la pratica ristagna sulla scrivania, per incertezze, inefficienze e quant’altro. Se un’opera pubblica, per essere portata a termine, impiega in media in Lombardia e in Veneto 4,1 anni, in Puglia ne impiega 4,7 e in Molise e in Basilicata 5,7. Quasi il 40% in più.
Per superare questo collo di bottiglia è in corso il reclutamento di una serie di figure di supporto che dovranno contribuire a snellire il lavoro degli enti attuatori. Tuttavia, senza una reale presa di consapevolezza della serietà del momento e delle criticità esistenti da parte di tutto il settore pubblico, i potenziali effetti del Pnrr corrono il rischio di essere dilazionati, ridotti se non addirittura vanificati.
Giornalisticamente, si è soliti considerare tale ordine di problemi sotto la categoria «burocrazia». È questo un termine che risale al Settecento, e che è stato inventato in Francia per indicare la crescita di potere degli uffici rispetto al potere del sovrano. In realtà, al giorno d’oggi, non c’è nessun potere in ballo, se non quello nocivo dell’inefficienza, dell’arbitrarietà e degli abusi possibili che prolificano in tale contesto, e quindi il termine «burocrazia» è perfino benevolo.
Ci vuole insomma un’assunzione di responsabilità, non solo degli amministratori ma di tutto il personale pubblico, per far sì che l’occasione del Pnrr non venga sprecata. È un treno ad Alta Velocità, che non possiamo permetterci di non prendere.