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Giù le tasse sul lavoro, ma puntando al benessere di imprese e dipendenti

 
Guido Gentili

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Guido Gentili

Giù le tasse sul lavoro, ma puntando al benessere di imprese e dipendenti

Il mercato del lavoro attende il cambiamento

Ora ci sono le condizioni per il cambiamento: non i soliti buoni pasto o acquisto ma l'integrazione degli stipendi per migliorare la vita delle persone

Mercoledì 06 Luglio 2022, 14:24

Giù le tasse sul lavoro, cominciamo da qui. E con una manovra shock da 15-16 miliardi. Sono tutti d’accordo, al momento: sindacati, imprese, partiti (di maggioranza e opposizione), governo (favorevole sulla direzione di marcia, più prudente sulle cifre). Del resto, con un’inflazione all’8% che corrode redditi e risparmi delle famiglie, bisognerà pur rispondere. Tutta la migliore statistica internazionale indica che l’Italia è ai vertici della classifica che misura il cuneo fiscale, cioè la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta ricevuta dal lavoratore. Cifre da brivido: a fronte per esempio di 300 miliardi lordi di salari e stipendi lordi corrisposti in media ogni anno nel settore privato, lo Stato preleva nel complesso 180 miliardi a titolo di contributi previdenziali (100 miliardi) e di Irpef (80 miliardi). Se a tutto questo aggiungiamo la sovrattassa dell’inflazione è evidente che il problema esiste e che non può essere aggirato.

Si tratta però di capire in che modo e in che tempi. Per cominciare rispondendo alla domanda: quali sono le coperture finanziarie della manovra shock multimiliardaria? Fossero altre tasse sarebbe una partita di giro. Si taglia la spesa pubblica che oggi sfiora i mille miliardi l’anno? Ci si inoltra nei labirinti delle leggendarie «tax expenditures», l’insieme delle agevolazioni fiscali sempre in odore di revisione e che, se tagliate, farebbero crescere la pressione fiscale? Per ora il silenzio è pressoché totale e potrebbe prefigurare la richiesta – quando la partita entrerà nel vivo, comunque in piena stagione pre-elettorale, di un nuovo «scostamento di bilancio», che significa altro debito. In nome dell’emergenza-stipendi e della «pace sociale». In ogni caso bisogna fare i conti con la realtà.

Alberto Brambilla, grande esperto di temi previdenziali e fiscali e già Sottosegretario al Welfare, ha spiegato bene un paio di punti dirimenti. Il primo: se si vogliono ridurre i contributi previdenziali, oltre alla temporanea perdita di gettito, occorre informare il lavoratore che la sua futura pensione sarà minore in proporzione alla riduzione contributiva a meno che lo Stato, a debito, gli paghi i contributi, suicidando i conti pubblici. Il secondo: non possiamo ridurre le grandi conquiste sociali che garantiscono un salario in caso di maternità, malattia, infortunio, invalidità o inabilità, disoccupazione. Il problema della riduzione del cuneo fiscale e contributivo sta tutto qui; non si può ridurre la pensione così come non si possono ridurre le prestazioni sociali (Il consenso a tutti i costi, chi paga?, Guerini e Associati, 2022).

Ma come si diceva il problema c’è. E uno sguardo un po’ oltre gli slogan ricorrenti e a reti politiche unificate potrebbe suggerire di percorrere anche altre strade. Una, di pronto soccorso (tanto più se non decollerà un’intesa più articolata modello Ciampi del 1993), è quella battuta oggi dalla Germania. Dove governo, sindacati e imprenditori, per combattere l’inflazione ed evitare la spirale prezzi-salari, discutono di un bonus temporaneo esentasse in busta paga mentre la contrattazione tra le parti fa il suo cammino «ordinario» intorno ad aumenti del 2-3%. Un modo di guadagnare tempo nella speranza che l’inflazione, pari ora all’8% come in Italia, l’anno prossimo scenda. Un’altra strada, comunque da sviluppare per l’oggi e il domani, è quella del Welfare aziendale che pone in stretta correlazione il successo dell’impresa al benessere dei suoi dipendenti e delle loro famiglie. La scomparsa di Leonardo Del Vecchio, valoroso artefice e timoniere solitario (ai suoi funerali presenti tantissimi e commossi dipendenti, assente in pratica il cosiddetto «gotha» industriale) di una grande azienda come Luxottica – che è stata la prima nel 2009 a «istituzionalizzare» questa nuova scommessa - contribuisce a riaccendere una luce su questo terreno.
Lasciamo perdere i nuovi super-fenomeni del settore, come l’americana «Google», per intendersi. In Italia questa strada ha tardato ad affermarsi, nonostante l’intuizione profetica e pratica dell’ingegner Adriano Olivetti negli anni Quaranta e Cinquanta del ‘900. Le resistenze sono state forti, e hanno pesato da un lato l’ideologia del conflitto di classe, dall’altro l’equivoco del paternalismo buonista del «padrone».

Ma ora ci sono le condizioni per accelerare il cambiamento. Non parliamo dei soliti buoni pasto o dei buoni acquisto, ma di tutti gli interventi che non solo integrano gli stipendi e che sono un’agevolazione fiscale per l’impresa, ma che migliorano la vita delle persone, in azienda e fuori. Un campo largo, viene da dire, e questo di sicuro fertile e produttivo.

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