In Puglia e Basilicata
Il fatto
foto d'archivio
25 Maggio 2022
Anna Langone
Sarà capitato anche a voi di non trovare più un profumo, una crema, un prodotto per la pulizia della casa che compravate nei soliti negozi. Beh, c'è chi se ne fa una ragione e non indaga più di tanto, altri, non proprio adulti digitali, si bevono la spiegazione del commerciante che parla di stop alla produzione di quell'articolo deciso dalla ditta, chissà perché, mentre pochi clic sulla tastiera rivelerebbero che è ancora in vendita.
Quanti vogliono invece capire scoprono sempre più spesso che dietro quegli spazi vuoti sugli scaffali c'è l'impossibilità, o la semplice scelta dell'esercente, di non spendere 150 euro per rifornirsi della merce mancante. Già, proprio una cifra non considerevole blocca il primo step di una ripresa che tutti invocano o intravedono come un miraggio, ormai da mesi. Esagerato? Non proprio. Il Moq (minimum order quantity), cioè l'ordine minimo, esiste da tempo, è la globalizzazione dei mercati sommata all'e-commerce ad averlo imposto nei rapporti tra fornitore e cliente. Ogni commerciante ha una sua rosa di fornitori abituali, ma quando deve cercare articoli non trattati dai marchi che contatta di solito, è costretto a rivolgersi ad un'altra ditta che, al primo ordine, può pretendere una spesa minima di 150 euro.
Accade per tutte le merci, anche per i parafarmaci diventati tanto importanti e numerosi nell'autocura. Questa garanzia che molti imprenditori scelgono di applicare per coprire costi di produzione, manodopera, spedizione è giustificata dall'economia di scala: spendere meno, produrre e guadagnare di più, ma è davvero così? In altre parole, conta soltanto il profitto?
Per le grandi aziende sì, ma per i negozi di vicinato non ordinare gli articoli mancanti per non investire... 150 euro diventa un suicidio, annunciato dalla perdita di un cliente, che presto diventano due e poi decine a effetto domino. Perchè gli acquirenti determinati a comprare quella marca di fondotinta, quello specifico detersivo, il deodorante al talco e non alla gardenia, sono persone che contribuiscono, non solo con il portafoglio, alla sopravvivenza di quanto i piccoli esercizi commerciali rappresentano: contatti umani, senso di comunità e anche, diciamolo, sicurezza, se si pensa alla luce ed alla compagnia che le insegne accese portano nelle zone urbane abbandonate al buio notturno dalla pubblica illuminazione insufficiente.
Il distanziamento e le limitazioni di tre anni di pandemia, è vero, hanno colpito soprattutto le vendite al dettaglio, incrementando la mortalità commerciale dei negozi fisici a vantaggio dell'e-commerce.
Sarebbe dunque molto facile e comodo anche per quanti restano fedeli all'esercente sotto casa o di un altro quartiere ordinare di tutto in pochi secondi allo smartphone, ma se ancora in molti preferiscono rivolgersi a chi, oltre allo scontrino, è in grado di fornire spiegazioni e consigli su cosa comperare, se questi stessi individui sono sempre disponibili ad affrontare traffico, ricerca di parcheggi, perdita di tempo, code, stanchezza, beh, non si può fingere che non esistano. Maggioranza o minoranza silenziosa, che si adatta a continui cambiamenti nell'avventura quotidiana della spesa, con budget erosi da crisi energetica e mega-bollette, i clienti alla ricerca di specifici prodotti sono portatori di esigenze e necessità cui dare peso per costruire, tutti insieme, un pezzo di futuro.
Un dopo-Covid (e guerra) che non potrà essere fatto soltanto di dialoganti attraverso uno schermo, o replicanti in fila nei centri commerciali per acquistare l'ultimo modello di telefonino, ma di parole e sorrisi che web-oceano, acquisti on line e progressi delle nuove tecnologie non potranno mai sostituire.
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