Nonostante la pandemia abbia messo in ginocchio milioni di aziende, quelle che producono armi godono, nelle loro multiformità partecipative, ottima salute. Si calcola che per ogni persona morta durante una guerra , ne moriranno in una sorta di macabro indotto, altre nove (British Medical Journal). Malattie che ospedali distrutti e introvabili medicine non riusciranno a curare, falcidieranno i superstiti più deboli, vecchi e bambini. Si morirà di scarsità di cibo, acqua potabile introvabile, di violenza, miseria e mancanze sociali.
Per dire: in Afghanistan la guerra dura dagli anni 70, ha provocato milioni di morti, le carestie che sono seguite mettono a rischio la vita di cinque milioni di bambini. Si stima che in ogni guerra a morire siano soprattutto i civili. Attualmente si calcolano circa 60 guerre, di varia intensità, in ogni parte del mondo con maggiore concentrazione in Asia e Africa. E che, ovunque, 82milioni di persone siano in fuga da carestie, persecuzioni, catastrofi.
E, appunto, guerre: che richiedono armi. La produzione delle quali richiede tempo e pianificazione, persino durante una pandemia mondiale che ha messo in ginocchio tutto, tranne – evidentemente - questa produzione. Le armi chiamano la guerra: non è solo una immagine forte quella evocata da Francesco. È la realtà: le armi producono denaro. Una montagna di denaro. E la guerra, su quella montagna, deposita sangue, morti, orrore, miseria. Affari d’oro per pochi.
Qualcuno ha scritto - brutalmente ma con efficacia - che la guerra non è altro che «una montagna di merda». Costruita su una montagna di denaro.