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Laterza: «Vai a rubare a San Nicola, che oltraggio!»

 
Alessandro Laterza

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Alessandro Laterza

Alessandro Laterza: «Vai a rubare a San Nicola, che oltraggio!»

San Nicola ed il furto dell'oro

La riflessione dell'editore: «Un bello schiaffone metaforico ci sta tutto a chi ha offeso la fede dei baresi»

Mercoledì 23 Marzo 2022, 15:46

BARI - A Bari corre il detto «Vai a rubare a san Nicola» o, per esprimere meglio la sfumatura semantica, «Ma vedi se vai a rubare a san Nicola…» (importanti i puntini sospensivi ad infinitum). Agiologi illustri e esperti più improvvisati discettano dell’origine del motto: ve ne sarebbe traccia nel vasto repertorio di miracoli del santo, protettore di innumerevoli categorie umane, tra i quali anche i ladri da lui inflessibilmente puniti e poi redenti. Io penso che in realtà l’espressione indichi, nel sentimento barese, il massimo del disprezzo verso un comportamento deprecabile: il culmine dell’abiezione o della disperazione è andare a rubare a san Nicola. Presso la basilica nicolaiana, s’intende di solito. Non parliamo se addirittura mettendo le mani addosso all’effigie del santo: la non strabiliante statua lignea di Giovanni Corsi, realizzata nel 1794 (a metà strada tra Rivoluzione francese e Rivoluzione napoletana), con un unico tratto sorprendente: il nostro è un santo molto scuro di carnagione, se non nero, come invero è attestato anche altrove. Quella è la statua che a maggio viene condotta in processione nautica nelle acque che furono del porto vecchio di Bari; quella è la statua che tutti i baresi hanno visto sfilare nel corteo storico patronale.

Sono stati rubati l’anello e la Sacra Scrittura, insegne dell’episcopato; sono state rubate le tre palle che simboleggiano i sacchetti pieni d’oro che il giovane Nicola, per questo poi eletto a patrono anche delle vacantine o giovani nubili, avrebbe segretamente introdotto nella casa di un uomo andato in rovina per sottrarre le tre figlie prive di dote a un triste destino di prostituzione. Oggetti – immagino – di poco valore intrinseco ma carichi di un enorme peso simbolico e della devozione che generazioni e generazioni di baresi e un’infinita schiera di pellegrini vi hanno riversato. È bene che questi oggetti ritornino al nostro santo patrono. Non è un appello, il mio. Ma una minaccia e un avvertimento. Con san Nicola non si scherza. Io non so se «non posso non dirmi cristiano», come sancì Benedetto Croce nel 1942, ma affermo che a Bari e non solo a Bari è impossibile «non dirsi nicolaiani». Questo santo di cui non si ha alcuna traccia storica è uno dei più grandi della tradizione cristiana. Grande santo mediterraneo, protettore dei marinai venerato in tutti i porti. Grande santo europeo le cui chiese costellano letteralmente tutto il nostro continente. Grande santo di tutte le Russie – stavolta senza invasori e invasi – e di tutto il cristianesimo ortodosso. Talmente grande da essersi riciclato, con gusto molto postmoderno, in Santa Claus, Babbo Natale. Perché san Nicola vuol bene, molto bene, anche ai bambini, a tutti i bambini.

San Nicola è un parto della fede e della speranza, prodotto in circa 1500 anni di storia. Non si manca di rispetto a un simbolo così potente. Senza scivolare in pistolotti sulla secolarizzazione o infilarci nella spirale dei sospetti sull’identità dei malfattori, confido che la città tutta si mobiliti perché venga restituito il maltolto. San Nicola – racconta la leggenda – non era uomo di dottrina ma di azione. Come Wolf, risolveva problemi. Al concilio di Nicea, sotto gli occhi esterrefatti dell’imperatore Costantino, avrebbe chiuso la disputa trinitaria con Ario assestandogli un sonoro ceffone. Lungi da me l’idea di alzare le mani su chicchessia, ma un bello schiaffone metaforico a chi ci ha offeso «tutti come stiamo», come si dice a Bari, credo che ci stia proprio. 

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