Si sta molto discutendo della riduzione delle accise sui carburanti. È probabilmente giusto farlo. Siamo in una situazione di crisi che non ha uguali negli ultimi decenni. La forte contrazione nella disponibilità di greggio, se le minacce di Russia e Usa dovessero concretizzarsi, renderebbe l’aumento dei prezzi dei carburanti e dell’energia che ad oggi dipende in gran parte da speculazione e aspettative, un dato di realtà permanente. Sebbene il prezzo al barile del Brent sia ritornato vicino alla soglia psicologica dei 100 dollari, dopo giorni in cui ha superato i 130, la situazione in Ucraina rende molto volatile il mercato. Di questo si approfittano gli operatori che, complice le incertezze e la necessità di approvvigionarsi in anticipo, scontano sul prezzo, e quindi sui consumatori, questi rischi. Ma a beneficiare di queste strategie non sono solo loro, c’è anche lo Stato. Il prezzo pagato dal consumatore, infatti, è dato dal prezzo industriale e dalle accise, che sono imposte speciali sui carburanti: sulla somma è poi applicata percentualmente l’Iva, la quale quindi amplia il prezzo finale ogni volta che il prezzo industriale cresce. Accise e Iva pesano per il 55% sul prezzo alla pompa della benzina e per il 52% sul prezzo del gasolio.
Il rialzo del prezzo al consumo dei carburanti sta dunque producendo un extragettito dell’Iva che Assopetroli ha calcolato per il solo mese di marzo in circa 200 milioni di euro. Proiettato per la durata probabile delle tensioni tra Russia e Europa, e in generale dalle pressioni esercitate dalle economie in transizione, potrebbe portare a entrate fiscali straordinarie ragguardevoli. Alcuni Paesi, come la Francia, se ne sono già accorti e hanno utilizzato questo surplus per finanziare provvedimenti di riduzione del prezzo finale per i consumatori. Anche in Italia si sta dando seguito all’invocazione da più parti di un intervento pubblico significativo, che pare indispensabile per sostenere alcuni settori produttivi «energivori» e per evitare che rialzi eccessivi dei prezzi dei beni di consumo alimentino una spirale inflazionistica. Si pensa dunque ad una sterilizzazione dell’Iva e a una riduzione delle accise. Ma per quanto tempo? E a favore di chi? La riduzione delle tasse sui carburanti viene presentata come una soluzione «win-win», dalla quale cioè hanno tutti da guadagnare, ma la questione è in realtà più complicata.
In primo luogo, anche se non è di moda parlarne, queste concessioni, se applicate in via strutturale, porterebbero a minori entrate e a un aggravio del deficit del bilancio pubblico. Queste politiche del tipo «paga Pantalone» si traducono, quindi, immancabilmente in debito pubblico che, non fa male ricordarlo, genera interessi da pagare e dunque o nuove tasse, oppure minori servizi erogabili dallo Stato.
In secondo luogo, le accise sono imposte con base imponibile definita in termini fisici (tanto di imposta per ettolitro, o tonnellata ecc. ) non come percentuale del prezzo, come l’Iva. In questo modo, anche se non ce ne accorgiamo, le accise contribuiscono a calmierare le variazioni nei prezzi, perché al crescere di questi il peso delle accise diminuisce. Ora si tratterebbe di aumentare questo effetto riducendo l’importo monetario delle accise anche in valore assoluto.
Tuttavia, di fronte all’ipotesi di sterilizzare gli aumenti dei prezzi «di mercato» dei carburanti attraverso la fiscalità, non dobbiamo dimenticare che il petrolio è una risorsa esauribile e il suo consumo produce effetti negativi sull’ambiente. Se davvero si vogliono raggiungere gli obiettivi europei «Fit for 55», che prevedono un settore dei trasporti ad emissioni zero nel 2055, bisogna scoraggiare l’utilizzo di mezzi con motore endotermico. Abbassare il costo «di mercato» dei carburanti va nella direzione opposta. Gli aumenti dei prezzi, in assenza di interventi, potrebbero spingere più persone a ridurre l’uso del trasporto privato e a rivolgersi al servizio pubblico, ad esempio per i tragitti quotidiani casa-lavoro. A Roma questo effetto è già stato rilevato. Questo tipo di politica è adottata in Paesi come l’Olanda, dove rispetto al reddito medio il treno costa pochissimo e la benzina è più cara che in Italia. Ma da noi siamo molto indietro sia in termini di accessibilità regionale e urbana sia per i servizi di trasporto in ambito urbano che lasciano ancora ampie aree delle città non servite o mal collegate. Insomma, se compensare in questo momento di difficoltà il prezzo dei carburanti attraverso la fiscalità è utile e anzi, per certi settori, indispensabile, sarebbe bene che tali vantaggi non fossero per lungo tempo e a pioggia.