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Mediterraneo e Balcani, le conseguenze del nuovo conflitto

 
Nicola Daniele Coniglio

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Nicola Daniele Coniglio

Mediterraneo e Balcani, le conseguenze del nuovo conflitto

Gli effetti della crisi rischiano di spezzare i fili dell'equilibrio sociale

Martedì 01 Marzo 2022, 14:39

Mentre l’attenzione è tutta sul fronte a Est, le conseguenze del conflitto si estendono a tutto il mondo. Alcuni paesi, come i nostri vicini dei Balcani e del Mediterraneo, sono particolarmente vulnerabili – in particolare dopo gli anni difficili della pandemia. Gli effetti indiretti di questa crisi – le difficoltà di approvvigionamento, l’aumento dei prezzi delle materie prime, il rialzo dei tassi di interesse – rischiano di spezzare fragili equilibri sociali ed economici senza che i Governi di questi paesi possano (da soli) fare molto. In Tunisia ci sono già file per acquistare pane e altri prodotti alimentari che scarseggiano. In altri paesi, che utilizzano sussidi per calmierare i prezzi di prodotti di consumo di base, la situazione è la stessa. L’Egitto – con i suoi circa 89 milioni di abitanti – è il più grande importatore al mondo di frumento (circa 4,1 miliardi di dollari nel 2019, il 5,6% del totale import del paese di cui oltre l’80% da Russia e Ucraina) ma importa quantità rilevanti di altri prodotti ‘sensibili’ al vertiginoso aumento dei prezzi in corso: mais, soia, prodotti petroliferi, fertilizzanti, acciaio semilavorato (altri 17.4 miliardi di dollari all’anno).

La scarsità di cibo è stata la principale fonte di instabilità nell’area: dai tempi dei faraoni alle primavere arabe quando aumenta il prezzo di pane e farina si scatenano rivolve e conflitti. La fine dei 30 anni di governo di Hosni Mubarak in Egitto ha tanto a che fare con la richiesta di libertà e diritti quanto di quella di pane a prezzi sussidiati. L’impatto di un aumento dei prezzi delle materie prime energetiche sarà più asimmetrico. Paesi come Libia e Algeria spunteranno prezzi più elevati per le loro esportazioni, ma per il resto dell’area – e in particolare per i Balcani – l’impatto potrebbe essere devastante. Nella competizione internazionale per risorse sempre più scarse vi sono due certezze. Prezzi elevati e razionamenti saranno inevitabili. I paesi più danneggiati saranno quelli più poveri e con meno strumenti e risorse per far fronte alle conseguenze di questo costo indiretto del conflitto su società ed economia.


Come scriveva lo storico Francese Fernand Braudel, «il Mediterraneo nel suo paesaggio fisico come in quello umano è un crocevia dove tutto si mescola e si ricompone in un’unità originale». Quello che succede a Beirut, Il Cairo, Tunisi, Tirana ha effetti importanti per l’Italia – e soprattutto per il Mezzogiorno. Il baricentro della storia si è spostato verso il nostro Sud solo in epoche di stabilità lungo le sponde del Mediterraneo. Anche oggi – con un mare nostrum che divide più che unire – i flussi di persone, idee, capitali e merci con i nostri vicini della sponda Sud ed Est sono tutt’altro che trascurabili. Siamo giustamente allarmati dalle conseguenze del conflitto sugli scambi con la Russia da cui importiamo gas e materie prime rilevanti per molte nostre filiere produttive e per riscaldare le nostre case e verso cui esportiamo beni per un valore di circa 8 miliardi di euro. Dovrebbe destare altrettanta preoccupazione il collasso del potere d’acquisto dei paesi del Mediterraneo – verso cui esportiamo circa 25 miliardi di euro in valore ogni anno. Per non parlare delle ricadute in termini di stabilità di quest’area di cui siamo parte integrante per geografia e storia.


Sarà difficile evitare l’onda lunga di questo conflitto. Bisognerà evitare, tuttavia, che possa trasformarsi in uno Tsunami che colpirà soprattutto le persone più esposte e vulnerabili nel nostro Paese e altrove. Quali strumenti abbiamo a disposizione? Nell’immediato questi paesi rischiano un’esplosione di povertà, disuguaglianze ed esclusione sociale. La capacità di questi governi di attutire questi rischi collettivi attraverso strumenti di welfare – sussidi e trasferimenti a famiglie – è limitato da bilanci pubblici già in difficoltà, da tassi di cambio in caduta libera e da costi di finanziamento di nuovo debito in forte crescita. E’ nell’interesse dei paesi ricchi evitare che questo diventi - dopo la pandemia e il conflitto Russia-Ucraina, - il nuovo fronte di una crisi globale. Possiamo aiutarli direttamente e attraverso istituzioni multilaterali come Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Agenzie Onu che hanno esattamente questo compito: aiutare paesi in difficoltà temporanea e contrastare povertà e disuguaglianze. Misure e linee di credito specifiche – o l’estensione e ampliamento di quelle previste per la pandemia - possono fare molto in tal senso.

Oltre l’emergenza – nella speranza che questa crisi si risolva presto - è bene ricordare che viviamo in un mondo iperconnesso. Così come crescita e sviluppo si propagano da un paese ad un altro - in particolare ai paesi vicini – anche per crisi e instabilità vale lo stesso meccanismo. Le nostre reazioni, le nostre politiche – anche quando puramente rivolte all’interesse nazionale – devono avere uno sguardo attento a quello che succede fuori dai nostri confini. Le Istituzioni globali per fare questo ci sono già. I meccanismi di cooperazione internazionale si possono migliorare ma non vi è nulla da inventare (ci hanno pensato i nostri padri costruendo sulle macerie della Seconda guerra mondiale!). L’augurio è che queste crisi – e il loro pesante carico di sofferenze - servano almeno a ridurre la miopia nazionalista che blocca la solidarietà tra popoli. Ce la faremo?

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