Chi decide i prezzi di ciò che compriamo online? Quando facciamo acquisti sui portali di e-commerce - che si tratti di un paio di scarpe da ginnastica, di biglietti aerei, o di prenotare un appartamento a Parigi per il weekend - i prezzi che vediamo non sono determinati da esseri umani ma fissati da algoritmi. Il prezzo di beni e servizi non è più stabilito esclusivamente dai costi di produzione e commercializzazione.
In molti casi, gli algoritmi fissano il prezzo osservando in tempo reale la curva della domanda e dell’offerta, e le proposte commerciali di altri operatori. Il costo di un biglietto aereo cresce man mano che le prenotazioni aumentano e i concorrenti adottano nuove strategie. Lo stesso vale per le corse su Uber, il cui costo sale nelle ore di punta quando la richiesta di trasporto aumenta e la disponibilità di autovetture diminuisce.
Un gruppo di ricercatori ha pubblicato sull’ American Economic Review un articolo, intitolato Artificial intelligence, algorithmic pricing, and collusion, in cui si dimostra come questi algoritmi abbiano una forte tendenza a convergere verso prezzi elevati anziché competere tra loro, in modo simile a quanto avviene nei cartelli tra imprese. I ricercatori hanno progettato due algoritmi e li hanno fatti competere tra loro con un unico obiettivo: massimizzare i profitti. Gli algoritmi hanno sviluppato le proprie strategie adattandosi all’ambiente e imparando dalle azioni proprie e altrui. Un po’ come Deep Blue, il super computer dell’IBM che nel lontano 1997 sconfisse il campione mondiale di scacchi Garry Kasparov, i nostri algoritmi hanno appreso le migliori strategie per massimizzare i guadagni.
In particolare, hanno iniziato a rispondere alle reciproche azioni finendo per aumentare i prezzi ben oltre il livello competitivo. È come se anziché competere si fossero accordati per fissare un prezzo più alto, senza tuttavia comunicare tra loro. Quando uno dei due algoritmi ha provato a ridurre i prezzi per guadagnare quote di mercato, l’altro ha immediatamente risposto adattando la propria offerta e innescando una guerra da cui è riemerso l’iniziale «equilibrio collusivo», che ha dato origine a un ulteriore aumento dei prezzi.
Queste forme di collusione tacita sono in grado di aggirare l’attuale normativa europea antitrust, per la quale è sanzionabile solo un accordo esplicito di non concorrenza. Gli studiosi hanno iniziato a interrogarsi su come regolamentare il fenomeno. Secondo alcuni, la collusione algoritmica sarebbe una conseguenza indiretta della trasparenza dei mercati.
Una possibile soluzione consisterebbe nel creare un «cono d’ombra» lasciando che alcune informazioni rimangano nascoste. Altri ritengono che le politiche antitrust dovrebbero spostare la propria attenzione dalle forme di accordo tra esseri umani alla condotta degli algoritmi. Tante sono le proposte, tra cui limitare la velocità e la frequenza con cui gli algoritmi possono modificare i prezzi.
Oppure, se è vero che per battere un computer serve un altro computer, c’è chi ha immaginato di sviluppare algoritmi «dissidenti» programmati per massimizzare il surplus dei consumatori o per inviare ai mercati segnali capaci di destabilizzare gli equilibri collusivi. Si tratta di soluzioni che dovranno essere studiate negli anni a venire, coinvolgendo il lavoro congiunto di informatici, giuristi ed economisti.
Tuttavia, come osservava Max Weber, le tecnologie non sono il fine ma un mezzo al servizio dell’economia. Se è vero che è quest’ultima a determinare gli obiettivi dei mercati, dovremmo chiederci ancora una volta se un sistema guidato unicamente dalla massimizzazione del profitto sia sostenibile nel lungo periodo.

Dagli studi di ricerca è emerso che in questa maniera è possibile aggirare l’attuale normativa europea antitrust
Domenica 20 Febbraio 2022, 17:41
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