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Il declino demografico vero allarme ignorato del nostro Mezzogiorno

 
Nicola Daniele Coniglio

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Nicola Daniele Coniglio

Il declino demografico vero allarme ignorato del nostro Mezzogiorno

Nicola Daniele Coniglio

Comincia da oggi la sua collaborazione con la «Gazzetta» il prof. Nicola Daniele Coniglio, ordinario di Politica Economica all’Università di Bari e direttore del Master Erasmus Mundus in «Economics of Globalization and European Integration»

Sabato 19 Febbraio 2022, 16:43

Il buon governo dovrebbe occuparsi dell’oggi senza trascurare il domani. Affrontiamo in questo momento sfide molto rilevanti per il nostro paese: la bolletta energetica e l’inflazione, le disuguaglianze, la pandemia. Occorre però non trascurare le insidie future, soprattutto quelle che rischiano di portare il Paese su una rotta pericolosa e duratura di impoverimento economico e sociale.

Quella che prima tra tutti sembra lontana dal radar della nostra collettività – ed ancor più della classe politica - è la grave crisi demografica che il paese sta già attraversando. Le previsioni del nostro Istituto di Statistica rivelano un quadro preoccupante, soprattutto a Mezzogiorno. Dai circa 60 milioni di abitanti di oggi, nel giro di qualche decennio (al 2050) la stima è quella di una riduzione di popolazione di circa 6 milioni di abitanti (di cui 3,5 milioni nel Mezzogiorno!). Come se la popolazione dell’intera Puglia e della Basilicata gradualmente scomparisse. Non si tratta solo di una questione «numerica». L’emorragia di popolazione è accompagnata da un pericoloso processo di invecchiamento.
Oggi nel Mezzogiorno risiedono 95 ventenni ogni 100 settantenni; al 2050 si prevede che ci saranno 59 ventenni ogni 100 settantenni (55 in Puglia e Basilicata).

Quali le possibili conseguenze? Se nulla dovesse cambiare, il rapporto tra giovani ed anziani sarà talmente squilibrato da mettere completamente in discussione i modelli economici e sociali a cui siamo abituati e che hanno portato ai livelli di benessere che oggi conosciamo. Nessun sistema di Welfare può reggere a tale tsunami demografico. Dalle pensioni alla sanità: sulle spalle di un numero sempre più esiguo di giovani poggerà un sistema che deve assicurare previdenza e cure sanitarie ad un numero crescente di anziani. Il sistema è già sotto forte stress oggi; non è complicato immaginare cosa ci attenderà tra non molti anni. Sul piano economico, le imprese di quella che è oggi l’ottava potenza economica mondiale faranno fatica a trovare forza lavoro con effetti negativi su investimenti, produzione e competitività del paese.

Nelle aree più colpite dallo spopolamento non si riduce solo il reddito prodotto (e il benessere ad esso associato) ma si dissolve anche lo stock di ricchezza. Nelle migliaia di comuni in cui la popolazione si contrae i valori delle case - la «cassaforte» (spesso l’unica) di milioni di Italiani - crollano vorticosamente.

Perché non ci si preoccupa abbastanza di questa che dovrebbe essere un’emergenza da affrontare subito? Una prima causa di quest’inerzia è legata ad un problema di distorsione delle nostre priorità. Così come un oggetto visto da lontano ci sembra piccolo e poco percettibile, la nostra abilità di guardare al futuro è limitata. Lo è ancor di più l’abilità della nostra classe politica che preferisce piccole azioni visibili oggi rispetto ad azioni più lungimiranti (e potenzialmente più rilevanti per il nostro benessere) che però non assicurano un ritorno immediatamente spendibile in termini di consenso elettorale.
Un secondo problema è quello della prevalenza – soprattutto ai piani alti - di coloro che potremmo definire «venditori di problemi» e «semplificatori di problemi». I primi cavalcano il consenso popolare mettendo assieme in modo caotico molti piccoli problemi presentandoli come terrificanti e insormontabili.

Si pensi alla propaganda sull’immigrazione che se gestita in modo adeguato potrebbe aiutare ad affrontare questo inverno demografico. I secondi, molto di moda in questi anni, sono coloro che per ogni problema hanno pronto un bonus.
Quello che serve oggi è un approccio pragmatico: affrontare questo problema complesso spacchettandolo in componenti più piccole e risolvibili. Lo spopolamento può essere rallentato o interrotto con buone politiche - sia nazionali che regionali - in grado di incidere sia sulla qualità della vita che sull’accesso alle infrastrutture materiali e immateriali nelle aree in declino demografico.

Occorre però fare scelte coraggiose e talvolta anche impopolari. Piuttosto che disperdere le poche risorse in mille rivoli di spesa, nel tentativo di dotare tutti gli ottomila comuni italiani di infrastrutture e servizi che non potremmo mai permetterci, bisognerebbe rafforzare le aree che possano realisticamente competere nello scenario socio-economico attuale e rappresentare un baluardo contro lo spopolamento di intere regioni. Un ruolo chiave, soprattutto nel Mezzogiorno, possono averlo i centri urbani medio-grandi che sono ben connessi con il loro territorio di riferimento ma, anche con il resto del mondo. Per non lasciare indietro nessuno alcuni servizi pubblici fondamentali dovranno «avvicinarsi» ai cittadini che vivono in aree in forte declino demografico (es. servizi sanitari territoriali). In altri casi sarà opportuno concentrare l’offerta in aree più grandi ed accessibili (es. università e servizi avanzati di qualità). Non è una sfida semplice; l’unica certezza è che non sarà un bonus (bebè) a riportare le culle nel Bel Paese.

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