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Il vestito giallo della discordia

 
Anna Maria Di Terlizzi

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Anna Maria Di Terlizzi

Il vestito giallo della discordia

Da un armadio alla vita: Anna Maria Di Terlizzi e la sua storia a colori

Sabato 30 Gennaio 2021, 10:40

Lo specchio dell’armadio rimandava un’immagine davvero gradevole. Quella ero proprio io con un vestito bellissimo di colore giallo, un giallo che faceva risaltare l’abbronzatura che avevo preso quell’estate al mare. Scollatura a barchetta, bustino aderente e scampanatura da fine del mondo.
Era l’anno in cui andavano di moda i sottogonna inamidati e larghezza di gonna esagerata, per cui quando roteavi su te stessa, la stoffa si alzava quasi all’altezza della vita diventando un grande cerchio. A noi ragazzine piaceva moltissimo soprattutto quando si ballava il rock and roll. Ci divertivamo da matte. Non m’importava che il vestito che indossavo non fosse nuovo. Era stato di mia sorella maggiore, mi piaceva moltissimo e lei, Miriam, mi aveva detto, la primavera scorsa, che potevo adattarlo su di me perché ormai lo aveva indossato varie volte e se ne voleva far cucire un altro dalla sarta.
Quando me lo aveva comunicato ero saltata dalla gioia perché quando Miriam lo indossava, io ero in sua adorazione.
Bionda, alta, occhi azzurri, un bel portamento. Faceva girare la testa a un bel po’ di ragazzi del vicinato, poi aveva il fascino e il mistero di chi aveva varcato i confini dell’Italia per andare a lavorare come ragazza alla pari a Londra. Si era iscritta al primo anno della facoltà di lingue all’università e pensò che lavorare, studiare e allontanarsi da casa andando a Londra le avrebbe giovato moltissimo e così fu perché non appena tornò, dopo quasi un anno, fu assunta come hostess di terra presso la base aerea americana di un paese vicino alla nostra città.
Per Miriam era una pacchia perché oltre ad essere coccolata e vezzeggiata da quello stuolo di maschi americani, molti dei quali con mogli al seguito, riceveva cospicue mance. Questo le permetteva di cambiare spesso abbigliamento e comprare cose che noi, tre sorelle più piccole, ci sognavamo.

Ma lei aveva scelto proprio me a cui donare quel bel vestito e non Pina l’altra nostra sorella che era un po’ più piccola di lei. Tra loro erano sorte gelosie e invidie forse per i corteggiatori che non mancavano mai tra studenti universitari o fratelli di compagne di scuola.
Io ero un’adolescente in boccio dai capelli e occhi castani e una carnagione un po’ olivastra, l’esatto contrario di Miriam. Rosetta, mentre mi soppesava inclinando la testa a destra e a sinistra, espresse il suo verdetto: «Sai che ti sta proprio bene!»
Io la guardai e dubitai del suo giudizio. Rosetta era la piccola di casa che mi stava sempre attaccata, m’imitava in tutto e non si sapeva mai cosa passasse in quella testolina. Io le volevo un gran bene perché mi sembrava assai vulnerabile, cercavo di proteggerla il più possibile da ogni sopruso.
In quel momento mi sembrò troppo di parte e quindi le risposi: «Mah… non so, forse la sarta lo ha accorciato un po’ troppo. Le avevo detto di tagliare all’altezza del polpaccio, ma lei è andata sulle ginocchia. Non vorrei che Miriam si arrabbiasse per avere sprecato tutta quella stoffa, con quello che costa poi...»
«Ma no, quanto sei pignola, non sei mai contenta. Hai deciso di metterlo alla festa di Anna, sì o no?»
Anna è una ragazza che abita nel mio stesso palazzo tre piani sopra il mio, è figlia unica e non ha il dono della bellezza ma è buona, gentile e simpatica e inoltre mi ha invitato alla sua festa.
Così le risposi: «Sì certo, l’ho fatto sistemare apposta per quel giorno!»
«Allora quando lo farai vedere a Miriam?»
«Non me lo tolgo finché non torna a casa così me lo vedrà indosso.»
Pronunciate queste parole, sentimmo il suono del campanello della porta, pensando che fosse Miriam, corsi ad accomodarmi sulla poltrona del salotto. Il vestito la cui parte di sotto era molto vaporoso, fuoriusciva da sotto le mie braccia e si appoggiava sui braccioli della poltrona. Così in posa aspettai che arrivasse lei, mentre Rosetta andava ad aprire la porta.
Avevo assunto un sorriso tra il compiaciuto e l’emozionato, un rossore sulle guance aveva infiammato il mio viso e attesi, ma non appena Miriam si affacciò nella stanza e mi vide spalancò gli occhi mi squadrò da capo a piedi e il suo volto assunse un’espressione cattivissima.
Io sbiancai e scattai in piedi incredula. «Che ho fatto? Perché mi guardi così?»
«Brutta ladra, chi ti ha autorizzato ad adattarlo a te e indossarlo? Quello è mio? Lo sai che dovevo metterlo domani? E ora che faccio?»
«Ma se me lo hai detto tu che potevo tenerlo e aggiustarlo, te ne sei dimenticata?» le dissi con gli occhi gonfi di lacrime.
«Non è vero, te lo stai inventando brutta scimmia, toglitelo subito o te lo strappo di dosso.» avventandosi su di me con il braccio in avanti e la mano ad artiglio.
Immediatamente corsi in cucina dov’era la mamma e mi nascosi dietro di lei implorando aiuto. Miriam era furiosa ed io avevo una paura tremenda.
La mamma venne in mio soccorso chiedendo cosa fosse successo, ma ciascuna di noi rivendicava il proprio diritto. Fui spalleggiata da tutti gli altri della casa che non ritenevano essere giusto rimangiare l’offerta di un dono. Miriam era irremovibile e giurò che se lo avessi indossato ancora, lo avrebbe fatto a pezzi. Lo disse urlando, imprecando e uscendo dalla stanza.
Feci sparire il vestito sperando che lei non lo ritrovasse ed era una fortuna che il tessuto fosse di un tipo di nailon perché accartocciato e ridotto a piccolo involucro non produceva stropicciamenti e pieghe. Me ne accorgevo ogni volta che lo scartavo di nascosto e lo rimiravo. Mi sembrava sempre più bello e sognavo d’indossarlo ancora.
Arrivò il giorno della festa della mia amica del quarto piano e sapevo che Miriam, essendo più grande di noi, non si sarebbe degnata di salire. Quindi, non appena rimasi sola in casa, tirai fuori dal nascondiglio il vestito, lo indossai, mi feci bella e salii. Anna era radiosa e felice per quella festa dedicata tutta a lei. Il giradischi era in funzione e alcune coppiette danzavano sorvegliati dall’occhio vigile dei genitori della festeggiata. Anch’io mi scatenai nel ballo con la voglia di esibirmi.
Arrivò la torta e lo champagne e tutti brindammo sorridenti puntando le coppe verso l’amica. Era proprio una bella festa! Mentre ciò avveniva, ecco spuntare dalla porta d’ingresso, una figura familiare:
era Miriam! Il colore del mio viso diventò cereo ben sapendo quello che sarebbe successo se mi avesse visto con il suo vestito. In un lampo mi acquattai, sgattaiolai sul balcone dove c’erano altri ragazzi a chiacchierare e mi nascosi pregando i presenti di coprirmi nel caso fosse arrivato l’ospite indesiderato.
E l’ospite arrivò, ma rimase sulla soglia. Ciò le impedì di vedermi: ero appiattita contro il muro nascosta dietro una persiana con il vestito tirato al massimo per non farlo sporgere. Gli altri avevano fatto il resto. Ebbi una gran fortuna, ma dovetti rimanere lì per tutto il resto della serata perché lei non andava via dalla festa. Stare lì ferma per tanto tempo con il fiato sospeso e costretta in una posizione sgradevole, non era certo piacevole, inoltre l’aria fresca della sera cominciava a procurarmi qualche brivido. Gli amici che si erano trastullati sul balcone erano andati via ed io non sapevo più che fare, cominciavo a spazientirmi. Decisi di uscire dal mio nascondiglio. Furtivamente mi affacciai sulla stanza e la vidi di spalle comodamente seduta a chiacchierare con i genitori di Anna.
Mi accorsi che la porta d’ingresso era aperta, mi tolsi le scarpe e silenziosamente guadagnai l’uscita. Ce l’avevo fatta! In un lampo discesi le scale e mi ritrovai sulla porta di casa mia. Avevo le chiavi, aprii e raggiunsi la cameretta mia e di Rosetta. Mi sfilai il vestito che scaraventai lontano da me e sedendomi sul letto iniziai a piangere sommessamente. Rosetta dormiva.
Mi chiedevo se non fosse tutta colpa mia. Mi ero incaponita a mettermi a tutti i costi quel vestito e mentre pensavo a come ne sarei uscita, sentii poggiare lievemente una mano sulla spalla.
«Perché piangi? Che è successo? Non ti sei divertita?» Rosetta mi stava consolando.
A quelle parole il mio pianto divenne convulso, ma non appena mi acquetai, le raccontai per filo e per segno ciò che era accaduto. Finito il racconto le chiesi: «E ora che faccio? Vorrei strappare il vestito fino a farlo diventare uno straccio e non vederlo mai più. Forse ha ragione lei… non doveva essere mio, e pensare che ho incontrato Nico, l’amico del nostro dirimpettaio, mi ha detto che ero bellissima…»
Nico era un ragazzo che vedevo ogni tanto e mi piaceva moltissimo. Disperata, ricominciai a piagnucolare.
«Smettila, non fare chiasso. Le persone dormono e ora andiamo a dormire anche noi, ho sonno.»
«Domani è domenica e Miriam starà a casa. Mi chiederà per l’ennesima volta dove ho messo il vestito ed io che le dirò?»
«Allora fa così, appendilo nel suo armadio e vediamo che farà.»
Mi sembrò una strana buona idea, presi il famigerato abito e andai ad appenderlo nell’armadio della sua camera. Lo feci velocissimamente prima che lei rientrasse e ce ne andammo a letto alla chetichella.
Il giorno seguente, poiché era domenica, eravamo tutti a casa e ci svegliammo un po’ più tardi del solito. Ognuno di noi, con la propria tazza di latte e caffè, si sedette al tavolo della cucina e silenziosamente consumava la colazione. L’unica che mancava era Miriam.
Penso che tutti noi ci interrogavamo sul motivo del suo ritardo; in un certo senso eravamo contenti che non ci fosse. Ma ecco che di colpo una strana visione ci apparve sulla soglia, era Miriam che indossava il vestito giallo. Il corpetto non era allacciato e se ne veniva in avanti, la gonna vaporosa le arrivava quasi a metà coscia. Sembrava un tutù. Lei ci guardava ostentando uno sguardo di sfida e noi la esaminavamo da capo a piedi; ci bastò guardarci in faccia un attimo per scoppiare a ridere come matte.
Eravamo talmente sbellicati dalle risate che, quando alzammo gli occhi bagnati di lacrime dal troppo ridere, ci accorgemmo che il vestito era a terra e Miriam sparita.
Passarono alcuni giorni prima che l’atmosfera di casa rientrasse nella normalità, ogni volta che ripensavamo a quella scena continuavamo a ridacchiare e a fare commenti. Miriam che aveva ripreso il lavoro non tornò più sull’argomento ed io potetti indossare il vestito ogni volta che lei non c’era fino a che diventò piccolo e ridicolo anche per me.

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