BARI - Angelo Terracenere è uno di quelli con la maglia biancorossa tatuata sul cuore. Una seconda pelle e non è un modo di dire come sanno benissimo tutti quelli che hanno avuto la fortuna di vederlo giocare. Un leader in campo, uomo credibile anche in quello spogliatoio in cui nascevano patti d’onore tra calciatori veri. Parliamo di quel Bari che ancora oggi mette i brividi. Quello in cui giganteggiavano Loseto, De Trizio, Maiellaro, Armenise... tanto per rendere l’idea. A sessantuno anni «Angioletto» non ha perso la proverbiale energia e, soprattutto, guai a chi gli tocca il Bari. Ne parla sempre con trasporto. Assolutamente senza peli sulla lingua, quando c’è da «alzare la voce» non si lascia sfuggire l’occasione. In amore funziona così, guai a vivere di finzioni.
Terracenere, lo scorso campionato è stato un incubo. E più volte l’abbiamo sentita «urlare»...
«Un incubo, sul serio. Diciamo che non ha funzionato nulla. Vogliamo chiamarla la classica stagione storta? Diciamo di sì. Ma io spero che si possano sfruttare gli errori commessi e cercare di porre basi solide per un futuro ambizioso. Le mie critiche? Semplice, quelle di un tifoso deluso. Il fatto che io sia stato un calciatore del Bari non mi impedisce di esprimere giudizi. Anzi, credo che sia un dovere».
La classifica non è il massimo della vita ma guardando le prestazioni sembra che il peggio sia alle spalle. Che ne pensa?
«Premetto che i numeri non vanno mai sottovalutati perché raccontano sempre verità, piaccia o meno è così. Però io ho visto anche altro. E cioè una squadra viva, soprattutto organizzata. Con calciatori che sanno benissimo cosa devono fare. Da tempo non mi capitava di vedere una squadra con una identità così forte».
Sta facendo un complimento a Longo.
«E diversamente non potrebbe essere. L’allenatore è una figura importante anche se troppo spesso ci si dimentica che in campo ci vanno i calciatori. Longo ha lavorato bene e i calciatori lo seguono. Raramente il Bari ha tradito sul piano della prestazione. Mi è sempre parso in salute e in grado di trascinare il tifoso con un atteggiamento molto positivo».
Eppure guardando la classifica non si può dire che i conti tornino, anzi.
«Nel calcio non si sfugge a certe regole. Una è quella del gol. Se ne sbagli tanti è difficile pensare di poter vincere. Basti pensare alla partita pareggiata contro il Catanzaro. L’ha sbloccata, non sei capace di chiuderla e alla fine poco c’è mancato che finisse con una sconfitta. Serve maggiore cattiveria in area avversaria. Perché, poi, può sempre capitarti l’episodio sfavorevole».
Lei crede, insomma, che a questo gruppo manchi qualcosa per poter fare il salto di qualità?
«Sì. Se fossi io il responsabile andrei a caccia di tre pedine. Un difensore, un centrocampista e un attaccante. Ovviamente gente dal valore acclarato, non scommesse. Sarebbe il giusto premio per Longo che sta dimostrando di essere un grande allenatore».
Se ne parlerà, eventualmente, a gennaio. Un po’ lontano, a dir il vero.
«Siamo alle solite. Le squadre vanno costruite d’estate. Invece anche quest’anno fino agli ultimi giorni si faceva fatica a capire quale era la formazione del Bari».
Magalini e Di Cesare hanno fatto un buon lavoro, però. Almeno per quel che si è visto finora.
«Sono stati bravissimi, la rosa è buona. Però poi bisogna mettersi d’accordo sugli obiettivi».
A Bari non si può vivere lontani dall’ambizione, su questo non ci piove.
«E allora torniamo alle pedine mancanti. Per fare il salto manca qualcosa. Esattamente come non credo che Longo possa contare su alternative di livello. Per carità, ci sono anche ragazzi bravi e di prospettiva. Ma giocare a Bari... è un altro mestiere».
Si aspettava una politica più aggressiva sul mercato?
«Sono stanco di ripetere le stesse cose. La società non fa gli investimenti necessari per una piazza come Bari. Avevano parlato di progetto triennale per la serie A e questo è il terzo anno. Fate voi...».
Qualcuno sostiene che per vincere i campionati non servano i soldi ma siano più importanti le idee.
«Ti può andare bene una volta, certo. Ma basta guardare le classifiche e ti accorgi che essere ambiziosi sul serio vuol dire investire. I De Laurentiis non hanno ancora capito, evidentemente, che tipo di piazza è Bari. Qui hai il dovere di muoverti in un certo modo. Poi si può anche non vincere, certo. Se tu spendi per vincere nessun tifoso può criticarti. Loro, invece, contengono le spese per andare in A con budget limitati e poi battere cassa al momento di cedere il club».
Magari ci riusciranno, mai dire mai...
«Ci mancherebbe. Ma non cambierò mai idea sul modo di gestire il Bari. Dalla mia bocca non uscirà mai un “bravi”. Anche se rivedere la A per me sarebbe un’emozione fortissima. Per ora mi godo Longo e questi ragazzi, a loro cosa vuoi dire?».