BARI - Le lacrime con cui Valerio Di Cesare chiude la conferenza stampa di presentazione della sfida di Cosenza non sono solo un angolo di profonda umanità in un mondo come quello del calcio in cui i valori rivestono un ruolo sempre più marginale. Vedere così un omone del genere stringe il cuore e mette anche i brividi. Perché quel momento di debolezza ci ricorda in che guaio si è cacciato il Bari. A quattro giornate dalla fine delle stagione regolare si respira un’aria pesantissima. Un misto di preoccupazione e angoscia di fronte a un crollo che non vuol saperne di arrestarsi.
Gli occhi del capitano raccontano di tante cose. Ma non rappresentano né una sorpresa e né una novità. Parliamo di un Di Cesare che, all’indomani della «tragica serata dell’11 giugno», non trovò le forze per uscire di casa per più di una settimana. Lo stesso uomo che, nel giorno dell’esonero di Iachini, parlò alla squadra col cuore in mano tirando fuori le stesse lacrime che ieri hanno fatto riflettere gran parte della tifoseria.
«C’è una cosa che più di tutte faccio fatica ad accettare - spiega Valerione - ed è l’idea che io possa aver chiesto l’esonero di un allenatore. Era già successo in passato con Auteri, Mignani e pure Carrera. Sento queste cose anche oggi. E mi fa male. Credo di essere un professionista serio e di non aver mai superato il limite del mio ruolo. Faccio il calciatore e non è mio compito chiedere alla società di cacciare un allenatore o di non esonerarlo. Ho letto di una delegazione a casa di Polito. E se si parla di delegazione è ovvio che in quel gruppetto ci dovessi essere io. Ci sta che ci si confronti con il direttore o con la società, mi è successo tante volte in carriera. Ma è cosa ben diversa il tentativo di condizionare certe scelte».
Certo è che Iachini, dopo quell’incontro, è stato esonerato. «Non mi va di parlare di certe cose, non le commento.... mi chiedo come facciate a dire queste cose, avete informatori segreti? Quello che posso dire è che, per quanto ne so io, Iachini è stato esonerato per i risultati. Non per altro. Nel calcio, purtroppo, funziona così. Abbiamo messo insieme due punti in nove giornate. Ecco il vero problema del Bari. Dopo le prime due vittorie con Iachini proprio io mi ero sbilanciato dicendo che credevo nel rilancio della squadra.
Sapete quanto sono legato a questa maglia. Mai avrei immaginato di ritrovarmi in questa condizione. Ma ora ci siamo e dobbiamo andare oltre le nostre possibilità. Non vedo altre strade».
«Ho letto tante “stronzate” - aggiunge il capitano con tono deciso ma senza mai sfociare nell’arroganza e nel nervosismo - ma secondo voi il problema può essere davvero rappresentato dalle ore trascorse al video? Da sempre funziona così all’interno della preparazione tattica. I miei compagni? Dubito possano aver parlato di difficoltà legate a video, metodi e altro. Ma, poi, la realtà è che io posso rispondere a titolo personale. E vi ribadisco che non esisteva un problema Iachini».
Le durissime parole di Maita («Ci sono state tolte certezze anche sul piano morale. La squadra è forte anche se stava passando il concetto che fossimo un gruppo di scappati di casa. Questa squadra è stata costruita per giocare con gli esterni. Non siamo brocchi ma andiamo messi nelle condizioni di tirare fuori il meglio») smentiscono il pensiero di Di Cesare che, però, è prontissimo nella replica: «Maita ha trent’anni ed è il vice capitano.
Credo che sarà libero di esprimere le sue opinioni. Ma non posso commentarle perché non le ho ascoltate e nemmeno lette. La realtà è che siamo di fronte a una stagione molto complicata. Quando cambi tre allenatori non può essere diversamente. Ora abbiamo quattro partite per tirarci fuori dai guai. Retrocedere sarebbe un fallimento. A Cosenza partita molto più importante della finale playoff contro il Cagliari. Ci giochiamo la vita. Punto».
Altri chiacchiericci. L’infortunio alla mano di Puscas non è nato in campo. Liti nello spogliatoio? Tensioni? «Dite che la mano gliel’ho rotta io? Ma no, suvvia. Con George non c’è nulla. In campo io sono sempre nervoso, mi conoscete. Era già successo con Lulic, quando becco un’ammonizione evitabile perdo la pazienza. Ma finisce lì. Ora, però, abbiamo parlato fin troppo di ciò che è passato. Non credete sia giusto guardare al futuro, anche alla luce dell’importanza che riveste? Noi siamo sul pezzo. Abbiamo voglia di giocare e dare il massimo. Per noi stessi e per la città. Pensiamo al Cosenza che ha ottimi calciatori. Penso a Tutino che con Phojanpalo è tra i più forti della categoria. E anche a Marras. È una finale, dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. Il modulo? Credo che in questo momento conti vincere e salvarsi. Siamo nati con l’idea degli esterni, questo sì».
Il faccia a faccia con i tifosi non ha portato fortuna. «Nulla da dire a loro, hanno sempre mostrato attaccamento a noi, alla maglia, alla città. Mi spiace soprattutto quando va male in trasferta. Fanno tante ore di viaggio, prendono acqua e non sono ripagati. I confronti sono utili. A patto di remare tutti nella stessa direzione».
I problemi del Bari nati da quella maledetta finale contro il Cagliari, chissà. «Mi fa un certo effetto pensare a sei anni fa. Ci allenavamo su un campetto a Carbonara. Abbiamo costruito cose importanti....». Il capitano si ferma. Sguardo basso, prova a far finta di niente. E poi quelle lacrime ricche di orgoglio e passione. Ma anche di paura. Ora andatela a prendere questa salvezza. L’unica strada per chiudere i conti col passato. E provare a ripartire nel segno dell’ambizione. A Bari, non lo scordi nessuno, si ragiona solo in quest’ottica. Chi racconta il contrario non merita il rispetto della città.