BARI - Un’occasione unica gettata alle ortiche. Un passo indietro (o forse più…) che riportano in auge una serie di vecchi vizi. Il Bari si risveglia con l’amarezza ancora viva per il pareggio colto contro la Feralpi Salò. Perché stavolta, più che mai, il punto somiglia troppo ad una mezza sconfitta. E conta relativamente l’aver evitato in extremis il ko: certo, da un lato l’evento sarebbe stato talmente clamoroso da far divampare il malcontento nella città del pallone, ma dall’altro i processi proprio non si possono evitare.
FUORI DAI PLAYOFF Ecco la sentenza che arriva alla seconda pausa del campionato, dopo tredici giornate: un terzo abbondante del torneo è volato via. Durante la prima sosta, era arrivato il ribaltone in panchina da Michele Mignani (dieci punti in nove turni) a Pasquale Marino che ne ha inanellati otto in quattro gare. Sul piano dei numeri, quindi, il miglioramento ci sarebbe anche stato, però non si può tacere che il tecnico genovese avesse affrontato Palermo, Cremonese, Catanzaro, Parma e Como, ovvero cinque delle prime otto in classifica, con la formazione ducale (in particolare) capolista incontrastata. L’allenatore siciliano, invece, se l’è vista soltanto con il Modena tra le attuali big, quindi ha avuto di fronte il trittico Brescia-Ascoli-Feralpi, ovvero compagini impelagate nella zona retrocessione e playout. Sicuramente c’è stato un incremento della produzione offensiva (sette gol realizzati in 360’, mentre prima erano stati otto 720’), un maggiore coinvolgimento degli attaccanti (tre reti di Sibilli, una di Diaw, Nasti e Achik), un baricentro più alto. Ma il Bari non sembra guarito.
E nel carrozzone in lotta per il salto di categoria figurano complessi che, almeno sulla carta, dovrebbero essere nettamente inferiori dei Galletti: Modena, Catanzaro e Cosenza gli esempi più eclatanti. In un contesto livellato verso il basso, fallire il piazzamento playoff annunciato dalla società (possibilmente arrivandoci in una posizione di rilievo) sarebbe un evidentissimo flop. Il tempo per rimediare, tuttavia, non manca. Ma è inevitabile pensare che sarebbe bastato cogliere il blitz con la Feralpi per essere saldamente tra le prime otto, riducendo nettamente i distacchi con ogni concorrente…
I NOTI LIMITI… Il match del «Garilli» (con 1.350 tifosi baresi sugli spalti: ennesimo esodo in trasferta) ha riportato a galla antichi difetti. La «pareggite», che sembrava debellata con le affermazioni su Brescia ed Ascoli, si è nuovamente manifestata. E davvero non può essere una tendenza frutto del caso. Il Bari detiene il record dei segni X (nove) non soltanto in B, ma nell’intero panorama professionistico italiano. E nell’era dei tre punti, non può essere una virtù, nonostante in cadetteria i biancorossi restino la compagine meno battuta (un solo stop). La verità è che i Galletti soffrono di una strana sindrome che impedisce di chiudere le gare, nemmeno quando si incanalano su binari favorevoli. Contro la Feralpi i pugliesi hanno subito la quarta rimonta in campionato, per la seconda volta si sono fatti persino «ribaltare» da una situazione di vantaggio (con il Catanzaro da 1-0 a 1-2, contro i lombardi addirittura da 2-0 a 2-3), così come continuano a piovere reti appena successive ad un gol segnato dai Galletti. Con il Catanzaro, Sounas ha segnato due minuti dopo il centro di Koutsoupias, identico lasso di tempo è passato con il Como tra gli acuti di Diaw e Bellemo, con il Modena l’intervallo tra i bersagli di Sibilli e Manconi si è allungato a 11’, per tornare a meno di 120 secondi sabato scorso tra la perla di Sibilli ed il goffo autogol di capitan Di Cesare. Che si tratti di un calo mentale? O di una sorta di paura di volare? Difficile da stabilire.
Tuttavia, anche in questo particolare la squadra attuale è opposta a quella della passata stagione: all’epoca, passare in vantaggio era quasi un’ipoteca sulla vittoria finale.
ASSETTO TATTICO E LACUNE IN ORGANICO L’identità è un altro traguardo non ancora raggiunto dal Bari. Mignani aveva dovuto correggere il fedele 4-3-1-2 in 4-3-2-1 per mancanza di attaccanti puri (Diaw per infortunio è venuto meno in quattro match e in altri cinque è stato a mezzo servizio), mentre Marino è partito con il 4-3-3 per poi approdare al 3-4-1-2 in modo quasi causale, ovvero per rimontare la gara di Brescia. Ma tale abito convince davvero il tecnico siciliano che predica un calcio dominante, aggressivo ed intenso? Ogni modulo dipende dall’interpretazione, ma l’impressione è che la disposizione attuale non porti all’atteggiamento offensivo che vorrebbe il mister di Marsala.
Non a caso, nel post partita di Piacenza ha sottolineato «l’importanza di poter lavorare quindici giorni di fila», nonché la «necessità di correggere qualcosa sul piano tattico». La sensazione, pertanto, è che non si sia ancora arrivati ad un punto di stabilità. Così come tornano d’attualità gli acquisti non centrati nel mercato estivo. A cominciare da un attaccante in più (non si può proseguire con i soli Nasti e Diaw), per proseguire con un ulteriore difensore centrale (farebbe comodo, soprattutto se si continuerà con la difesa a tre) e concludere con un centrocampista che sia dotato di corsa, ritmo e fisicità: in rosa non esistono elementi paragonabili a Benedetti o Folorunsho. La presenza di Edjouma (ingaggiato proprio per conferire peso ed inserimenti tra la seconda e la terza linea) resta sempre più «teorica», dato che il francese non si alza dalla panchina da sette gare di fila. Gennaio non è ancora alle porte, ma nemmeno così lontano. Meglio chiarirsi le idee per riparare subito.