Lunedì 08 Settembre 2025 | 03:36

Il lampascione salvò la cattedrale

 
Antonella Millarte

Reporter:

Antonella Millarte

Il BULBO - È una tipicità che i pugliesi prediligono

Il BULBO - È una tipicità che i pugliesi prediligono

Lo storico Gelormini: era fra i cibi preferiti dell'Imperatore Federico di Svevia

Venerdì 06 Dicembre 2019, 18:58

Si avvicina Natale ed è tempo di tradizioni. Un ingrediente che compare, puntualmente, sulle nostre tavole imbandite a festa è il lampascione (che si può scrivere in molti altri modi simili). Non è una cipolla, bensì un bulbo di giacinto selvatico che oramai importiamo soprattutto dalla vicina Africa.

Le sue radici nella gastronomia contadina pugliese, nonché mediterranea, sono antichissime e, allora, ho chiesto allo scrittore e storico Antonio V. Gelormini di raccontarci del legame fra l’imperatore Federico II, la sua città e …i lampacioni!

Nel 1229 Gregorio IX - dalla Cattedrale di Bitonto - scomunica Federico II, che non si decide ad intraprendere la Crociata. Immediatamente le città fedeli al Pontefice gli si rivoltano contro e Troia, più di altre, manifesta con spavalderia la censura, negando ogni accoglienza all’Imperatore.

Allorquando lo Stupor Mundi tornerà dalla Terra Santa, come re di Gerusalemme, la sua reazione non si farà attendere e minacciosamente dirà ai troiani: “Evitate ai vostri figli le lacrime amare della sconfitta e della vergogna. Evitate loro di bere il calice amaro dell’aceto, riservato ai banditi dall’Impero”. I troiani decideranno di rispondere con un consistente carico di “cipolle”, “pane duro e stantio” e “aceto di vino nero”. Ma un cancelliere avanza una proposta audace: sostituire le cipolle con un abbondante carico di lampascioni col l’obiettivo di indebolire la “tenuta” delle truppe con i suoi effetti debilitanti. Il carico parte ma … l’Imperatore Svevo, cresciuto tra gli arabi di Palermo, apprezzava fin troppo i lampascioni, fino alla golosa ingordigia, tanto da ritenerli addirittura il ‘non plus ultra’ della tavola, se accompagnati da “corposo” vino di Uva di Troia.

Il gesto, quindi, fu apprezzato e ritenuto una sorta di sottile deferenza verso il sovrano adirato. Ma non bastò a salvare la città di Troia, che venne poi rasa al suolo dall’Imperatore Federico. Furono fatti salvi il castello, la cattedrale e la memoria dei suoi gusti a tavola.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)