Ora che si è placata l’eruzione dell’impronunciabile vulcano islandese Eyjafjallajokull; ora che dalla sua bocca non esce più cenere, che possa paralizzare il traffico aereo europeo provocando ingenti danni all’economia; ora che il panico si è attutito... possiamo fare qualche considerazione in favore dei vulcani e della loro attività? Forse mai ci domandiamo quali vantaggi e quali materiali utili all’uomo essi hanno formato nei millenni.
Probabilmente la prima merce di origine vulcanica è stata l’ossidiana, una roccia fusa nera, lucida, abbastanza dura, che si trova vicino a molti vulcani: in Italia a Lipari, Pantelleria, nell’isola laziale di Palmarola. L’ossidiana è stata usata e commerciata già alcune migliaia di anni fa, per farne punte di frecce, ornamenti, per propiziarsi gli dei; era una merce di lusso e Lipari occupava un posto preminente nella sua produzione; il commercio si estendeva in tutto il Mediterraneo da dove veniva trasportato all’interno dell’Europa e in Egitto e Medio Oriente. Esisteva, insomma, una «via dell’ossidiana», come in seguito si sarebbe avuta una «via dell’ambra» dal Mar Baltico e una «via delle seta» dalla Cina. L’ossidiana è ricordata da tutti gli scrittori di cose naturali greci, romani e poi arabi.
Nella trasformazione di rocce silicee all’interno dei vulcani si forma anche la pomice che, nel raffreddamento, ingloba dell’aria diventando un materiale poroso, oggi usato come additivo per materiali da costruzione ai quali assicura buone proprietà di isolamento termico e acustico. La pomice era nota e usata nell’antichità come abrasivo; ancora oggi il suo uso come abrasivo si ha nei cosmetici, nei dentifrici, come depilatore, e in applicazioni meno eleganti che sono però costretto a citare: l’abrasione dei calli dei piedi.
Ma la pomice è stata usata come abrasivo anche industrialmente, per esempio per sbiancare e rendere meno rigido quello speciale tessuto blu che, da una storpiatura del nome «Genova» da cui arrivava negli Stati Uniti, ha preso il nome di jeans. Originariamente usato come tessuto per indumenti da operai, la sbiancatura per trattamento con pomice formava un tessuto variegato che poi è diventato di moda fra gli elegantoni che, con jeans lisi e sbrindellati, danno l’impressione di averli consumati nel duro lavoro manuale. La leggenda vuole che sia stato un giovane immigrato tedesco ebreo, Levi Strauss (1829-1902) a inventare nel 1853 in California questo processo di trattamento dei jeans.
Una volta un quasi monopolio del commercio della pomice aveva l’isola di Lipari, ancora lei, con le sue cave a cielo aperto, ora inattive, che appaiono come un’abbagliante distesa bianca di rocce arrivando dal mare. L’Italia esporta ancora oggi 3 milioni di tonnellate all’anno di pomice, estratta dalle rocce vulcaniche del Lazio.
Spesso all’interno dei vulcani vengono decomposte rocce contenenti zolfo che fuoriesce come gas anidride solforosa, ma anche talvolta come zolfo puro che si deposita col suo caratteristico colore giallo all’interno dei crateri. All’inizio del Cinquecento Hernan Cortés (1485-1547), uno dei «conquistatori» spagnoli del Messico, si trovò isolato, lontano dall’Europa, senza zolfo, ingrediente della polvere da sparo, e se ne procurò facendo calare dentro una cesta, all’interno del cratere del grande vulcano Popocatepetl, un compagno di avventure, Francisco Montano, che grattò un po’ del deposito della preziosa sostanza.
Fra i composti chimici trascinati in superficie dai fenomeni vulcanici c’è anche l’acido borico che i soffioni di Larderello per secoli hanno buttato nell’aria; con l’acqua di condensa si sono formati dei «lagoni» di fango ricco di acido borico da cui questo utile acido è stato estratto fino a qualche decennio fa.
Il calore del vapore geotermico è usato da oltre un secolo come fonte di energia; avviato nelle turbine genera elettricità: in Italia circa 5,5 miliardi di chilowattora all’anno, una fonte continua e rinnovabile.
Ma le manifestazioni vulcaniche possono anche essere una fonte… di acqua potabile. Le «favare», costituite dal vapore che fuoriesce in molte zone vulcaniche, sono spesso costituite da vapore di acqua pura, priva di sali, che può essere condensata anche con mezzi rudimentali. A Pantelleria, sulla Montagna Grande dove esistono varie favare, i pastori da tempo avevano scoperto che, ponendo delle frasche davanti all’uscita del vapore, questo condensava ad acqua liquida che veniva raccolta in piccoli abbeveratoi per le pecore.
Nell’ambito di una ricerca sulle fonti di acqua dolce per le isole minori, nei primi anni Sessanta fu allora costruito un più razionale sistema di condensazione del vapore di una delle favare; il vapore veniva fatto condensare in lunghi tubi raffreddati con l’aria circostante; i tubi erano inclinati in discesa e l’acqua che si formava veniva raccolta in una vasca utilizzata dai pastori che andavano a riempire le bottiglie per casa loro; la condensazione del vapore di una sola favara produceva mille litri di acqua potabile al giorno. La vasca ha funzionato alcuni anni poi i tubi sono stati distrutti. Una simile fontana aveva funzionato per alcuni decenni sull’Etna.
Grazie, vulcani.