«Divieto straordinario di uscire durante le ore serali e notturne imposto dall’autorità per motivi di ordine pubblico, in situazioni di emergenza» così il dizionario Treccani definisce il coprifuoco. In Italia e in buona parte dell’Europa era un termine bellico, legato soprattutto agli anni dei grandi conflitti. Oggi il coprifuoco è diventato invece il divieto di circolare dopo le 22 se non si ha un valido motivo. È una di quelle parole che ha contribuito a collocare la pandemia sotto la cifra bellica. Si parla di battaglia, di resistenza, di controlli, di guerra, di esercito di medici e infermieri, insomma tutto l’apparato linguistico proprio dei conflitti armati è entrato nel linguaggio quotidiano per raccontare una pandemia e i conseguenti effetti sulle popolazioni. E non è un caso che proprio i militari abbiano avuto un ruolo importante – anche in questo caso per difendere la gente – quando hanno allestito ospedali da campo o quando hanno sgomberato le bare dai cimiteri strapieni. E non sarà neppure un caso che oggi il piano vaccini sia stato messo nelle mani di un generale che, forse proprio per sottolineare lo stato di guerra in cui ci troviamo, gira in divisa ostentando ovunque con orgoglio la mimetica da alpino.
Da un paio di giorni, però, il coprifuoco è diventato anche motivo di scontro politico e ha acceso la prima crisi all’interno del composito governo Draghi. Il leader della Lega, Salvini – come è noto – non ha fatto votare ai ministri del suo partito il decreto legge che mantiene il «coprifuoco» alle 22. Alla Lega si sono accodati in queste ore un po’ tutti: dai presidenti delle Regioni (senza distinzione di partito) ai rappresentanti delle varie categorie interessate al provvedimento (ristoratori, artisti, gestori di cinema) e una larga fetta di cittadini. Le motivazioni sono diverse, ma convergono in unico scopo: concedere un po’ più di libertà, soprattutto ora che c’è la bella stagione, in modo da riprendere a frequentare ristoranti, pub, centri commerciali e negozi vari. Diciamolo con franchezza: quell’ora in più darebbe una bella sterzata verso quella che riteniamo la «normalità».
Allora la domanda diventa: perché mantenere il «coprifuoco» alle 22? Il Governo ritiene che quell’ora in più favorirebbe fin troppo la ripresa dei contatti sociali e quindi anche una maggiore circolazione del virus. In questo senso anche una serie di pareri dei tanti esperti che durante la pandemia si sono impossessati delle nostre vite. Il problema vero è che proprio sull’efficacia del coprifuoco non ci sono certezze scientifiche ma solo riscontri empirici, che però sono pure contraddittori. E allora ciascuna parte cita l’esempio che più si addice alla tesi che vuol sostenere.
A queste incertezze vanno aggiunte le partigianerie politiche. La Lega cavalca lo spostamento del coprifuoco alle 23 perché non vuole perdere l’appoggio delle categorie che beneficerebbero di un simile allargamento orario. Salvini si è reso conto che pian pianino la Meloni gli sta sottraendo consensi, senza contare che per lui fare il «bravo ragazzo», che non contesta né alza la voce, gli riesce difficile. Per altro nella Lega è sempre aperta la partita con Giorgetti – amico personale di Draghi – e non sempre in perfetta sintonia col lider maximo.
Ci sono poi i presidenti delle Regioni che premono per spostare il coprifuoco alle 23. Anche qui la richiesta è venata di populismo. Concedere quell’ora alla gente significa anche aiutare a far dimenticare un po’ di guai che i cosiddetti governatori hanno combinato in questi 14 mesi di pandemia e nessuno può ritenersi al di sopra di ogni sospetto. Dagli organici sanitari indecentemente insufficienti, agli ospedali malmessi, dal continuo dissidio con il governo all’incapacità di gestire l’emergenza, dai contagi nascosti per non precipitare in zona rossa ai piani vaccinali fatti a tromba, dalle ordinanze per sminuire i provvedimenti governativi alle scuole aperte e chiuse come fisarmoniche. Anche questo bisogna dirsi: i presidente delle Regioni – dalle Alpi alle Piramidi – non hanno per nulla brillato nella gestione della pandemia e hanno fatto di tutto per sfruttare norme scellerate, come quelle sul federalismo, per emanare ordinanze che hanno molto spesso gettato la gente nel caos, alimentando inutili tensioni e conflitti.
Alla fine bisogna ragionare col buon senso, quello che troppo spesso manca più del vaccino Pfizer. Non c’è dubbio che col «coprifuoco» alle 23 staremmo tutti meglio, che i locali pubblici potrebbero lavorare di più e riprendersi un po’ prima dalla terribile mazzata ricevuta, che la macchina economica si rimetterebbe in moto un po’ prima. Sull’altro piatto della bilancia c’è il rischio che dopo qualche settimana si torni a chiudere tutto perché riesplodono i contagi e il numero dei morti si faccia ancora più pesante. È appena il caso di sottolineare che ancora ieri c’erano 342 morti, tanti, troppi per tornare a commettere gli stessi errori del passato. Allora forse meglio aspettare un po’, vedere di quanto aumenteranno i contagi – perché è chiaro che le riaperture non saranno a impatto zero – e capire se quell’ora di vita sociale in più sia davvero così pericolosa oppure sia poco influente. È un’altra delle scommesse che ci tocca fare con la pandemia e, proprio come nelle guerre, ci giochiamo la vita.