Dottore, si ricorda di me? Un'umanità fragile al banco dei vaccini. È quasi mezzanotte, i pazienti oncologici riempiono gli ultimi moduli al banco della speranza. Li chiamano fragili e sono anche fortissimi: in fila si passano le informazioni sulla chemio conclusa, sulla seduta di «radio» da fare ancora, sui futuri appuntamenti e sul vaccino in arrivo. Ma anche sulla vita familiare, le nozze rinviate del figlio, il viaggio in programma per il 2022. Ascoltarli, a tratti, mette i brividi e, a tratti, riempie di una insolita fiducia. Dopo il vaccino, i quindici minuti seduti, ancora parlando con gli altri. Sì, il dottore si ricorda di me, quanti anni che vengo qui, quanti anni che sono un paziente oncologico.
Le parole ricorrenti sono AstraZeneca, Pfizer e quarantena, anche se paure e progetti vanno di pari passo e ogni timore si scioglie quando arriva il loro momento, quando i medici e gli infermieri in turno volontario fino a tarda ora dopo il lavoro quotidiano in corsìa, sono lì, a raccogliere dati, a incontrare i pazienti. Codice fiscale, documenti e anamnesi: ciascuno firma i suoi moduli e racconta in poche righe la vita da fragile. L'altra faccia dei furbetti che saltano le code o dei disagi delle attese è qui, negli ospedali di Puglia che di notte non dormono più, che sono svuotati ormai da tempo dei parenti in visita, dei pranzetti portati da casa con quell'amore che solo chi ha un «fragile» in famiglia, ricoverato o a casa, ben conosce. Il mondo va avanti al di là delle cifre e delle polemiche. La rincorsa di percentuali, la gara delle regioni, i colori rosso e arancio si fermano davanti a questa umanità carica di desiderio di ricominciare. Nonostante la malattia, nonostante tutto.
In Puglia sono state portate a termine in questo weekend caldo di accuse e di difese migliaia di vaccinazioni, ventimila al giorno, su persone che non possono ammalarsi oltre, che hanno le difese basse e si difendono dal Covid con la forza della volontà. Rocce granitiche alle quali per fortuna il sistema vaccinale sta rispondendo: certo, ci sono state le attese, ci sono i disguidi, ma a questo popolo di fragili interessa il risultato. Che è anche nei 15mila disabili che ora non rischiano più o nei bambini affetti da malattie rare, pazienti delicatissimi, arrivati con i loro genitori e con i loro medici a fare da volontari per i vaccini fuori orario. Qualcuno è stato chiamato sabato sera, mentre dormiva alla Tv: vaccini avanzati, nessun imbroglio – spiega una signora arrivata in tutta fretta col marito – saremmo venuti il giorno dopo, ma alla fine è stato meglio. Chi lotta con il tempo e con il rischio di morte, con la paura di tornare in ospedale, con il terrore di dover interrompere cure salvavita, ragiona in questo modo. E poi i parenti, gli assistenti, quelli che sono ora inglesizzati come caregiver e che fanno parte dell'altro popolo dolente, il popolo che ha imparato a coniugare da un giorno all'altro termini difficili, manovrando farmaci, medicazioni domestiche sui port, sui conduttori di chemio e su quella necessità che diventa resistenza, resilienza.
I casi non scendono, il sistema è difficile. È vero. L'incertezza, le circolari. Ma è anche vero che un aiuto verrebbe dalle coscienze dei singoli, un dato che le statistiche non possono comprendere. Un medico di base racconta di aver visto al supermercato un suo paziente in quarantena: lo dice con la stanchezza addosso, con la consapevolezza che si può fare molto ancora, ma che ciascuno di noi nel suo piccolo, con sacrificio, può ancora fare. Sentendosi guerriero di una battaglia che per una volta è davvero comune. E dobbiamo combatterla insieme.