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Parchi e centri commerciali: la burocrazia non ha pietà

 
Bepi Martellotta

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Bepi Martellotta

Puglia addio zona gialla, resta in arancione: operatori in rivolta

foto Luca Turi

Ora che la Puglia è tornata al giallo, i fine settimana sembreranno diversi anche nei grandi magazzini

Lunedì 15 Febbraio 2021, 15:29

Non c’è niente da fare, il Covid si prende beffa di tutti noi, a cominciare dai decisori politici, quelli cioè che sono chiamati a svolgere l’ingrato compito di decidere per tutti, a costo di bypassare le più elementari norme costituzionali sulle libertà individuali pur di tutelare la salute pubblica. Ecco, questo periodo verrà ricordato negli annali di storia per le mascherine, i carri dell’esercito con i morti della Bergamasca, gli igienizzanti prima introvabili e poi costosi, poi trovabili ma rimasti costosi, i ristoranti chiusi e le vie dello shopping aperte, le discoteche pluri-assembrate di estate e le scuole chiuse di inverno. Ma quello che i libri di storia non potranno raccontare bene sarà la stupidità della burocrazia, i danni irrecuperabili creati dallo Stato-decisore, l’ottusità dei cavilli normativi e la goffaggine delle procedure.

Parliamo di tutte quelle strade che portano a Roma e per le quali vive un esercito di gente, in Italia, che si affanna a rendere migliore la pubblica amministrazione (res publica, dicevano i Romani, che sul progresso continuano a farci un baffo), indossando colletti bianchi e gestendo, loro malgrado, la vita di tutti.
Ecco cosa è accaduto. Le normative nazionali sulle chiusure degli esercizi commerciali (Dpcm 6 novembre 2020) non hanno previsto la distinzione tra Centri commerciali e Parchi commerciali. I primi sono i classici grandi magazzini nei quali, al chiuso, sono presenti diversi esercizi e la gente si affolla a visitarli avendo un tetto sulla testa e solo porte di uscita alle estremità dei corridoi. Dunque, situazione decisamente da monitorare in epoca Covid (scarsa areazione, distanziamenti difficilmente controllabili etc. etc.) I secondi, i Parchi, invece, sono i punti vendita all’aperto all’interno di una vasta area, dotata di parcheggi, dove chi vuole – se vuole – entra come se si trattasse di un negozio sulla strada cittadina, diversamente va altrove e non deve percorrere centinaia di metri al chiuso per trovare l’uscita. Ebbene, cosa è accaduto. Che lo Stato – per carità, preso da mille emergenze quotidiane, a cominciare dalla scarsità dei vaccini – si è “dimenticato” di queste differenze, stabilendo nei periodi di lock down (prima rossi, poi arancioni) la chiusura di entrambi nei fine settimana. Il tutto nonostante – vedi, c’è sempre la burocrazia che ti aspetta da qualche parte! – le due tipologie di attività siano chiaramente distinte da un decreto legislativo del ’98, tant’è che i parchi commerciali chiedono l’autorizzazione al Comune di pertinenza per insediarsi, i centri commerciali devono avere anche l’autorizzazione della Regione. Eppure il Governo non se ne è accorto.

Il risultato? Un esercito di commessi/e, pagati quattro soldi per lavorare come bestie anche durante la primavera 2020 ( “Italia protetta”), con la gente obbligata a casa dal lock down totale e adibita solo ad uscire per vestirsi e mangiare, hanno perso il posto di lavoro. O meglio, ce l’hanno con le casse integrazioni Covid sinché dureranno (31 marzo), poi – nuovo Governo permettendo – non si sa. Insieme ai dipendenti, un esercito di imprenditori – taluni affiliati con grandi catene, altri in proprio – hanno subìto una stangata da cui non si riprenderanno mai più, mentre i loro diretti concorrenti – ovvero i titolari dei negozi nelle vie del centro – potevano tranquillamente continuare ad esercitare la loro attività nei week end pur avendo le stesse condizioni di accessibilità e di logistica. Concorrenza sleale? No, malagestio amministrativa.

La lista delle doglianze, ovviamente, potrebbe continuare se pensiamo ai caffè presi in asporto (e lontano dal bar) per evitare assembramenti, quando bastava imporre ai bar di dimezzare il numero dei tavoli e realizzare il famigerato distanziamento. E giù con i pranzi consentiti e le cene vietate nello stesso luogo (il ristorante aperto sino alle 18), le multe agli anziani che andavano a pranzo dai figli, i riders delle pizze beccati senza mascherina sulla moto (da soli) prima della consegna “pericolosa”, i cinema chiusi per sempre e i teatri con la polvere mentre nelle strade dello shopping gli astanti si sfioravano, starnutivano, tossivano uno addosso all’altro. Non parliamo, poi, dei numeri dei ricoveri sballati, con la Puglia che torna solo ora - in colpevole ritardo - “gialla”. Dopo la conta delle vittime del virus, che speriamo finisca quanto prima, andrà fatta una conta delle vittime economiche che chi era chiamato a gestire (già, i burocrati) avrà provocato.

Ora che la Puglia è tornata al giallo, i fine settimana sembreranno diversi anche nei grandi magazzini. Il Covid, intanto, se la ride. Gli annali non lo racconteranno, ma qualcuno potrebbe – per favore – ricordare ai Ministeri, ai burocrati, agli ex fedelissimi di “Giuseppi” Conte oggi convertiti a “Super Mario” Draghi, ai virologi chiamati ad occuparsi della cosa pubblica e ai politologi da talk show, che la vita è fatta di piccole, grandi cose: di gente che si fa il mazzo per campare, di imprenditori che si fanno il mazzo per guadagnare, di lavoratori che in silenzio portano avanti la “baracca Italia”, di leggi che non servono se poi, quando arriva un virus, non sai distinguere tra Parchi e Centri o non riesci a governare una chiacchierata a dovuta distanza tra amici, parenti, coniugi di primo grado o amanti di secondo grado? Insomma, che la politica se serve a qualcosa è a questo, a governare la vita di tutti e a dare a tutti una possibilità di degna sopravvivenza. E che ogni scelta sbagliata, in un senso o nell’altro, manda in fumo un pezzo di Pil, migliaia di posti di lavoro, famiglie e servizi.

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