La sanità è il punto centrale della questione meridionale. Quale manager internazionale pianificherebbe i suoi investimenti in una fascia geografica sprovvista di ospedali collaudati ed efficienti? Anche parecchi turisti tendono a prenotare le loro vacanze in base della qualità dei reparti di cura nelle località di svago in ballottaggio per le ferie. Figuriamoci gli investitori, ossia coloro che, verosimilmente trascorreranno mesi ed anni nei posti scelti per le loro iniziative produttive. Il caso Calabria, con l’incredibile balletto tra i responsabili della sanità territoriale, ha danneggiato l’immagine, la sostanza e il turismo della regione più di dieci indagini sulle ‘drine locali sempre più sfrontate.
Nessun uomo d’impresa internazionale, ma anche nazionale, opterebbe a cuor leggero per un’allocazione delle risorse in una terra in cui la salute non è tutelata da una rete di assistenza degna di questo nome e in cui la sanità, nel migliore dei casi, è una sorta di bancomat per i gruppi politici e parapolitici più famelici.
Ma siamo nel novero delle eccezioni. Fino a quando non sarà appianato, o perlomeno ridotto, il divario Nord-Sud in materia sanitaria, anche il divario socio-economico resterà inviolato. I due divari (sanitario e socio-economico) sono interdipendenti: uno determina l’altro.
Ecco perché bisognava concentrare il grosso dei 209 miliardi del Recovery Fund europeo per gli interventi a salvaguardia della salute. Ecco perché non bisognava esitare neppure un nanosecondo nell’utilizzare i 36 miliardi di euro del Mes sanitario.
Ammodernare la sanità nel Sud oggi equivale ad affrontare l’intera questione meridionale partendo dalle conseguenze, dai contraccolpi meno plateali, ma di sicuro più dolorosi: prendere atto che molte idee, molti progetti di allargamento produttivo al Sud saltano per l’inadeguatezza del settore sanitario territoriale, per la carenza di garanzie che il sistema della salute offre a residenti e forestieri. Fino a quando durerà lo status quo testé abbozzato sarà da illusi sperare in una riduzione del divario Nord-Sud. La sanità è tutto, specie dopo la pandemia, i cui effetti umani, economici e psicologici si spalmeranno nel tempo, si faranno sentire per parecchi anni a venire.
Ignorare la necessità di approfittare degli aiuti europei per iniziare a presidiare al meglio la salute nel Meridione equivale a dire che il Sud rimarrà così, anche dal punto di visto economico, per i secoli dei secoli.
Non si capisce perché una questione così seria e drammatica non risvegli le coscienze. Non si capisce perché neppure i tele-filmati da choc, neppure le inchieste giornalistiche più sconvolgenti facciano breccia tra legislatori e decisori. L’unione effettiva di un Paese comincia innanzitutto dalla parità dei livelli essenziali di assistenza che, per altro, sono previsti e scritti nero su bianco. Altro che federalismo, che poi significa chi ha dato ha dato chi ha avuto ha avuto e ognuno si faccia la sanità con quello che ha. Altro che parlare di questua meridionale, anziché di questione meridionale. Fino a quando non verrà posto riparo al divario Nord-Sud nei reparti ospedalieri tutti i discorsi collaterali sui dislivelli in altrie voci infrastrutturali avranno il sapore della beffa. Ecco perché, più che disuguaglianze sarebbe il caso di parlare di divari. I divari, sociali, territoriali, economici, sono più insidiosi e gravosi delle disuguaglianze perché sono frutto di una logica sistemica; perché sono figli di scelte politiche discutibili, se non scellerate; perché non possono confidare nell’estro individuale, nel genio personale per poter essere ridimensionati. I divari hanno bisogno di uno stato centrale imparziale per poter essere attenuati o livellati.
Spesso le priorità e le emergenze di un Paese variano con il trascorrere degli anni. Ma la priorità sanità è aciclica in una nazione o in una regione. Sta lì, ferma, in attesa di essere affrontata. Guai a far finta di nulla. I mali s’incancreniscono, con buona pace per il benessere individuale e collettivo.
Se fosse possibile stilare una classifica dei disincentivi che scoraggiano gli investimenti e le vacanze (che potrebbero moltiplicarsi di numero) al Sud sulla base delle vere motivazioni dei diretti interessati, vedremmo che la sanità occupa la prima posizione e che le lacune digitali - la fibra ottica resta un miraggio per tanti -, occupano la seconda posizione.
Ma nei centri nevralgici, nei consessi decisionali, se ne discute poco, pochissimo. O niente, alla luce della bazzecola di 9 miliardi su 209 destinati all’intera sanità nazionale.
La Calabria è il caso limite, perché qui le cosche spadroneggiano da tempo. Ma anche il resto del Sud non se la passa benissimo. Il divario col Nord, nella sanità, non ha bisogno di molti elementi di cronaca, anche se nel Mezzogiorno esistono realtà sanitarie d’eccellenza in grado di competere con l’offerta del Nord.