BARI - C’è una grandezza, tragica e sorgiva, nella nostra epoca di morte e di eroismo. Una grandezza che emerge dalle esperienze di perdite e di sacrifici, dalle famiglie ai luoghi della sanità ospedaliera, e sta bussando ai muri della politica e che finirà inesorabilmente nel determinare il crollo dei vecchi modelli del potere cinico, interessato solo a rimodulare i sistemi sociali, economici e burocratici. Noi tutti cerchiamo le nuove parole che possano rigenerare le nostre menti, sostenerci nello scontro con un virus che vuole piegarci e umiliarci e sta mettendo in ginocchio milioni di persone, e aprire nel contempo la nuova fase della storia umana. La nostra salvezza, biologica e spirituale, dipenderà proprio dalla nostra capacità di vincere le inerzie e i balbettii della politica di potere e aprire il cuore e le menti alla nuova prospettiva di vita. Queste idee, per affermarsi, non devono restare nella mente di pochi e illuminati soggetti della storia politica o economica. I singoli eroismi illuminano il percorso, ma l’uscita dalla catastrofe dovrà essere corale.
Per conquistare le menti le idee devono essere vitali e capaci di diventare <infrastrutture> comunitarie e globali, alimentate dal basso e dall’alto, in un flusso continuo.
Non devono limitarsi a sanare solo le ferite, a colmare i buchi del sistema; devono alimentare un sacro furore, profondo e ordinato, per realizzare il nuovo sistema del potere delle idee rigeneratrici, e non, come ha scritto James Hillman (1926-2011), psicanalista e studioso della psicologia degli americani, per difendere il vecchio mondo trasformistico dell’idea del potere.
C’è una sindrome che va debellata, prima che sia troppo tardi. Il nostro mondo politico, intendo il mondo politico italiano, cerca di sopravvivere grazie al complesso della potenza personale. Ogni capo politico occupa il suo spazio, meglio un interstizio, del sistema decisionale. Da Renzi a Salvini, da Conte a Di Maio e alla stessa Meloni, il gioco di attacco e di rimando è ripetitivo e stantio. L’Io che traina un gruppo di fedeli, sociale, economico o burocratico, bene che vada; una clientela o un piccolo cerchio magico, nei casi più ricorrenti. In questi giorni, di teatro della crisi, siamo immersi in questa rappresentazione. Minacce, rientri, verifiche e ritirate, spartizioni sotto traccia. La comunicazione, purtroppo, è costretta ad andare al seguito di queste scie. Poi ci sono gli esempi della retorica massimalista dell’Io contro tutti, l’Io puro contro le caste del potere, a destra e a sinistra. Un moralismo falso e superficiale che cinicamente tratta in modo sotterraneo con i sacerdoti della prima linea del potere sopravvissuto, cercando così di reiterare lo schema nel futuro.
Un elemento unisce i due gruppi: il controllo e la subordinazione degli altri, una subordinazione di qualunque tipo, finanziaria e autoritativa, propositiva o minacciata, purché il complesso di potenza venga salvato.
Questo schema, in tempi normali, funziona in modo fisiologico, si alimenta con i soldi pubblici e sopravvive grazie agli incrementi, più o meno percepiti, del Pil (Prodotto interno lordo) e della spesa, reale o promessa, ai diversi livelli istituzionali.
Ma il nostro non è un tempo normale. Ogni cittadino soffre e manifesta i suoi dolori personali e sociali. Il crollo delle produzioni e dei redditi di molti settori sociali ed economici mina alla base alcuni dei pilastri della vita collettiva. Nessuno sa se l’industria delle vacanze, dei viaggi e dell’incontro sopravviverà nelle forme conosciute. Nessuno sa davvero se il nostro mondo dell’educazione e dell’istruzione ritornerà ad essere quello di un tempo, oppure dovrà adeguarsi agli standard tecnologici che premono. Sappiamo, invece, che il fardello già pesante del debito pubblico è destinato a salire in modo drammatico, a carico dei nostri figli e nipoti.
Nelle tragedie personali o di piccoli gruppi una catarsi, un atto di eroismo, una conversione, un amore, cambiano le direzioni esistenziali. Nelle grandi tragedie nazionali e mondiali abbiamo invece bisogno di una nuova poetica condivisa. Una delle frasi più significative nel mondo della sofferenza è <il prendere in cura>. Si legge nella Treccani: Interessamento solerte e premuroso, occuparsi attivamente di qualcuno, provvedere alle sue necessità. Una rivoluzione per la politica e per la burocrazia. Non più soggetti che chiedono diritti o pongono domande di salute. Non più subalterni e cittadini in cerca di riconoscimento. In questa nuova letteratura collettiva il politico diventa persona di servizio. Il funzionario, non più piccolo sovrano di una frazione di procedimento amministrativo e gestionale. Il protagonista è chi esprime un bisogno o una domanda. Un ribaltamento della presunzione di potenza, sia nella politica sia nella burocrazia.
Un’altra parola-idea che dovrebbe scuotere il mondo statico della politica e della stessa società è <prestigio>. Il prestigio, fino ad oggi, è una faccia del potere. Anche molti scienziati e accademici cadono nel trabocchetto. Chi cerca una sistemazione di potere comincia con una sorta di autoesaltazione, manifesta o strisciante. Curriculum interminabili, pubblicazioni a non finire, premi, citazioni. Ma prestigio richiama parole come <rispetto> o <ammirazione>. Le persone che mettono a repentaglio la loro vita pur di aiutare e salvare un’altra persona meritano ammirazione. Un politico che lavora sodo per preparare un atto significativo, che ascolta con pazienza ed è pronto a riconoscere le ragioni dell’altro, che dimostra senso dello stato e rispetta la dignità delle persone, merita il giudizio positivo. Il prestigio così inteso è l’alternativa al potere e alle sue sistemazioni. Anche il grande manager non ha bisogno di curriculum interminabili, ma solo di una breve sinossi. I suoi successi sono i successi di una squadra ben più ampia che va al di là del team di vertice. Ecco, questa rivoluzione silenziosa presuppone anche cambiamenti di stile e resistenza di fronte alle lusinghe. La genialità di un politico è sì fondata sulle sue competenze e capacità di consenso, sull’empatia e sulla infaticabilità, ma solo se questa genialità si fa accompagnare dalle <forze alte> della saggezza e della popolarità autentica, alimentata dal rispetto prima di tutto morale.
Il lessico della politica si è via via ingarbugliato. Le parole, ripetuto in modo meccanico, sono sfibrate e quasi senza valore. La loro autenticità è morta usurata dal gergo dei media, soprattutto quelli nuovi. I piccoli e brevi rapporti di causa e necessità hanno occupato tutti i tavoli e tutte le leggi. Noi tutti sentiamo il bisogno di aprire porte e finestre dei palazzi e delle piccole dimore per fare entrare nuova aria fresca. Nella tragedia italiana le nuove idee sono già esperienza vissuta. Bisognerebbe farle conoscere, una per una e tutte integrate. E trovare poi le persone adatte a testimoniare le <forze alte> al servizio del nostro Paese.