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Mezzogiorno di poco: il mondo si ferma, c'è Google in «crash»

 
Oscar Iarussi

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Oscar Iarussi

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All’improvviso un’avaria, un buco del sistema che si favoleggia custodito a bordo di un sottomarino o un attacco informatico su larga scala ha mandato a carte quarantotto i servizi del gigante californiano del web

Martedì 15 Dicembre 2020, 11:50

Mezzogiorno di poco o nulla. Ci è toccato in sorte ieri poco dopo le 12 a causa del #googledown (questo l’hashtag subito in tendenza sui social) che ha investito mezzo mondo, Italia inclusa. All’improvviso un’avaria, un buco del sistema che si favoleggia custodito a bordo di un sottomarino o un attacco informatico su larga scala - ancora non è chiaro - ha mandato a carte quarantotto i servizi del gigante californiano del web fondato da Sergey Brin e Larry Page alla fine del secolo scorso. Dal 1998 in avanti la società ha acquisito un rilievo crescente sul mercato dei cosiddetti «Over The Top» (Amazon, Facebook, Google…) e di pari passo nella nostra vita quotidiana, sia per il lavoro sia per lo svago, diventando essenziale dacché è scoppiata la pandemia. Infatti, su Google «viaggiano» fra l’altro la posta di Gmail, le videochat di Meet e Classroom utilizzate soprattutto dai docenti e dagli studenti per le lezioni giornaliere in Dad o Ddi (Didattica a distanza, Didattica digitale integrale), nonché Google Drive e YouTube.

Il panico globale degli adulti è rimbalzato nelle chat di WhatsApp, mentre si manifestavano il giubilo e la goliardia dei ragazzi costretti da mesi dinanzi al computer fra distrazioni comprensibili e meno legittimi tentativi di farla franca rispetto ai quali le scuole, soprattutto le superiori, si sono in parte tutelate con speciali programmi. «Il vostro amico hacker ha pensato di anticipare le vacanze. Fate i buoni», uno dei tanti messaggi comparsi sugli schermi. «Ma che studi? Fatti una vita», recitava un altro invito ai ragazzi su Google Meet.

Il crash si è protratto per poco più di un’ora prima che l’orizzonte a misura di Google fosse «ripristinato», ma la parentesi è bastata a farci saggiare un mondo in cui, oltre alla presenza fisica, sia inibita pure quella virtuale. Insomma, un ritorno alla «preistoria», come la intendono i nostri figli, delle lettere e delle telefonate per comunicare lentamente qualcosa, ovvero un’epifania del Grande Nulla sul finire dell’anno peggiore nella nostra vita collettiva, almeno a partire dalla Seconda guerra mondiale. Le memorie cinematografiche di Hal 9000, il super-computer ribelle in 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, sono d’un tratto balenate a turbare i sogni della intelligenza artificiale e al tempo stesso emotiva che ci ha consentito di arginare i danni enormi della pandemia. E adesso? Cos’altro mai potrebbe accadere - abbiamo pensato - se restassimo senza la croce e le delizie del web? Resusciteranno i dinosauri? Il muro di Berlino verrà ricostruito nel giro di una notte? Saremo tutti drammaticamente sconnessi invece che più o meno felicemente connessi? I gettoni della Sip verranno rimessi in vendita alle casse dei supermercati insieme al gel igienizzante e alle mascherine chirurgiche liturgiche taumaturgiche e, nel caso, absburgiche?

Per fortuna, è stata solo una parentesi e ci siamo ritrovati presto «irretiti» nelle consuetudini della Rete, a cominciare dal Doodle, il ghirigoro in home page, atto a scandire il calendario: «Che anno è, che giorno è? Questo è il tempo di vivere con te». Sì, con te, Google. Anzi, come sostiene qualche esperto, lo stesso guasto di ieri «potrebbe essere collegato a misure di prevenzione e protezione messe in atto dall’azienda» contro gli attacchi di hacker, «presumibilmente russi», in corso ormai da mesi ai danni di imprese e agenzie federali statunitensi. Ecco, parafrasando Tacito... Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato Page. Intanto il geniale Larry quest’anno è classificato tra le prime dieci persone più ricche del mondo con un patrimonio stimato di 78,7 miliardi di dollari. E magari per tutelare le nostre mail al capoufficio o l’ora di Geografia ha sospeso tutto per un po’! L’ennesima metafora di questo dannato 2020? Può darsi, però lo spazio è finito, la prossima volta vedremo di capire perché, #madeché.

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