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Indimenticabile, grande Pablito: il ricordo di Paolo Rossi

 
Fabrizio Nitti

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Fabrizio Nitti

Indimenticabile, grande Pablito: il ricordo di Paolo Rossi

foto Ansa - Tartaglia

Paolo Rossi è stato il punto più luminoso di quella rivoluzione «cultural-calcistica» messa in opera da Enzo Bearzot a cavallo fra gli anni ‘70 e gli anni ‘80

Venerdì 11 Dicembre 2020, 12:01

È il 5 luglio del 1982 (anno indimenticabile) e al «Sarrià» di Barcellona fa caldissimo. Il cross di Cabrini «gira» da sinistra a destra, profondo, nell'area brasiliana. Lacera la difesa dei sudamericani, la prende alle spalle. Dietro a tutti c'è lui, Paolo Rossi. In quei pochi secondi, dalla palla che lascia il piede di Cabrini fino all'impatto con la testa e il gol, c'è tutto «Pablito». C'è tutta la storia dell'attaccante più forte che il calcio italiano abbia mai conosciuto. In quel preciso istante nasce il «Mito». Rossi diventa Rossi, quello che ha affossato il Brasile in semifinale e lanciato l'Italia verso il titolo di campione del Mondo. Quello che fu costretto a scendere da un taxi, in Brasile, perché riconosciuto come il «killer» dei carioca anche a distanza di anni. Dannato, dannatissimo 2020. S'è portato via anche il «Re Mida» delle aree di rigore, dopo «el pibe de oro», oltre a migliaia di persone incolpevoli. Speriamo finisca presto, questo disgraziatissimo anno. Paolo Rossi è andato via in silenzio, vinto da un avversario ancora, purtroppo, ingestibile. Un uomo perbene, oltre che un fuoriclasse, etichetta che mai ha fatto pesare. Un uomo dal sorriso contagioso e dai modi pacati.

Paolo Rossi è stato il punto più luminoso di quella rivoluzione «cultural-calcistica» messa in opera da Enzo Bearzot a cavallo fra gli anni ‘70 e gli anni ‘80. Quando l'Italia scelse di rifondarsi e di ripensarsi in maniera decisa dopo la cocente delusione di Germania 1974. Un po' come quello che sta accadendo di questi tempi con gli Azzurri di Mancini. I Mondiali del 1978 in Argentina hanno consegnato alla storia del pallone italiano, la miglior Nazionale in fatto di qualità di gioco. C'è poco da discutere. Perfino l'Italia-Mondiale del 1982 e quella di Lippi del 2006, pur giocando un buon calcio, sono state inferiori quanto a varietà di schemi e proposta di gioco.

Di calciatori come Rossi non ne sono più nati. Certo, qualcuno ha provato ad assomigliargli. Pippo Inzaghi, ad esempio, uno che ha fondato la sua carriera da calciatore vivendo perennemente in bilico fra la vita e il fuorigioco. Ma «Pablito» resterà un dipinto unico nel panorama del calcio italiano. Come l'urlo di Tardelli (Pertini show in tribuna) nella finale Mondiale del 1982. Veloce, intuitivo, mentalmente un passo avanti a tutti, difensori e compagni. Chi lo aveva in squadra se lo teneva stretto, chi lo trovava da avversario provava a fare altrettanto, senza riuscirci. Chi non lo ha visto giocare dal vivo s'è perso uno spettacolo. Compariva dal nulla, sbucava improvviso come la nebbia. Alle spalle di stopper, terzini, portieri. Non c'era palla vagante in area di rigore che non si trasformasse in pepita d'oro. Cioé in gol. Ladro di attimi, rapinatore di secondi.

Paolo Rossi è stato amato anche perché era una persona a modo, con una educazione d'altri tempi. E le brave persone si possono solo amare. Rimase impigliato nella brutta storia del calcioscommesse degli anni ‘80, una storia poco chiara nella quale lui c'entrava nulla. La sua carriera da opinionista non è mai stata trascinata da polemiche per fare audience o da giudizi gridati. Era uno di quelli che sapeva cosa dire in ogni occasione. Con calma e serenità. Pungente e gentile allo stesso tempo. A pensarci bene, la stessa «tattica» usata per fare gol.
Sì, ci mancherà. Mancherà a chi ama il calcio, a chi ama lo sport. Perché «PaoloRossi», tutto attaccato, è entrato in silenzio nella storia degli italiani, conquistandoli tutti, amici e nemici. È un pezzo di storia. E anche di vita che se ne va.

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