Difficile e facile, ad un tempo, riassumere la grande vicenda umana di Rossana Rossanda. Difficile perché una personalità raffinata e poliedrica come lei non può essere banalizzata per flash, in poche righe. Facile, perché tutta la sua vita è stata contrassegnata da una lotta di classe, studiata da una signora di classe, mai venuta meno alla ragione sociale del suo ideale di sempre. Una Signora in Rosso mai doma, e allo stesso tempo mai dogmatica, semmai non aliena alla sfida dell’eresia.
Occorre trovare il tono obiettivo. Anche se chi scrive non può mettere del tutto da parte la sua passione politica. E bisogna soprattutto riuscire a interessare, magari a coinvolgere quelle che, da una parte o dall’altra non hanno partecipato.Però non si può negare che la storia del PCI è stata quella di un partito veramente grande: nei progetti, nel coinvolgimento, nell’avere nemici altrettanto fermi.
In quella storia si è verificata una scissione, nel ?, dalla quale è nato “il manifesto”, che prima un gruppo politico e poco dopo divenne un giornale quotidiano: impresa temeraria per quei tempi.
Allora anche i partiti erano capaci di avere un’anima, e un’anima l’avevano anche i giornali. Il Manifesto, fu entrambe le cose, ed ebbe un successo elettorale e perfino una vasta diffusione ma restando ai fatti che hanno toccato direttamente la sua sensibilità.
Tutta la sua anima aveva il nome Rossana Rossanda. Veniva da Pola, dove era nata il 3 aprile 1924 in una famiglia di militari della Regia Marina. La sua formazione scolastica la compì a Milano, prima al liceo Manzoni, dove ebbe per maestro il filosofo Antonio Banfi (1886-1956). Sempre a Milano, la sua formazione politica la compì invece nella lotta partigiana, e poi nel Partito comunista italiano, il PCI che rappresentava una vera calamita intellettuale per i giovani con la voglia di capire il funzionamento delle cose nel nostro paese, e che soprattutto volevano cambiarle fin dalla radice dei rapporti economici. Non tardò perciò a guadagnarsi la fiducia del segretario nazionale, Palmiro Togliatti (1893-1964), che la volle come reponsabile della cultura e come deputato.
Critica nei confronti di una costruzione dell'Europa che si realizzava con meccanismi sempre meno democratici e metteva al proprio centro invece della crescita generalizzata, il rafforzamento di alcuni privilegi.
Naturalmente il passo da tali posizioni a forme di vera e propria vicinanza con la lotta armata che imperversava in quegli anni, era breve. E proprio “il manifesto” ne parlò apertamente in due articoli della Rossana Rossanda, nel 1968. Uno di questi, s’intitolava esplicitamente “L’album di famiglia”, e vi si riconoscevano molti protagonisti del tempo. Il discorso sulla DC (marzo 1988) che fece il giornale, riprese questi argomenti anche dopo i drammatici giorni del rapimento di Aldo Moro (1916-1978).
Rossana Rossanda, aveva una qualità non frequente nei giornali: il senso della storia. Quel senso della storia che la portò ad assumere posizioni coraggiose per il suo tempo, come quella sulle Brigate Rosse, da lei ritenute componenti di quell’Album di Famiglia mentre erano in tanti utilizzare la dizione «sedicenti Br».
La Rossanda ebbe il coraggio di gettare il sasso nello stagno, di invitare la sinistra a riflettere su quanto andava emergendo nell’area insurrezionale dell’estrema sinistra. Così come ebbe il coraggio di differenziarsi non poco nel giudizio sull’Urss, per decenni, ritenuta una stella intoccabile per l’intera galassia comunista. Rossanda è stata tutto questo, un’intellettuale che non ha mai rinunciato ai suoi ideali di gioventù, sempre inseguiti con la grazia, la cultura, e lo stile di una vera signora.