Prima i politici ed ora i vip. Il Covid-19 continua a dimostrare di essere un virus democratico, che non fa alcuna distinzione fra ricchi e poveri, tra bianchi e neri, tra uomini e donne, tra deboli e potenti. Com’è normale che sia. E che è un virus temibile, che apparentemente si accanisce con coloro che invece pensano e dicono “ma non è una cosa seria”.
Prima i politici ed ora i vip. Il Covid-19 continua a dimostrare di essere un virus democratico, che non fa alcuna distinzione fra ricchi e poveri, tra bianchi e neri, tra uomini e donne, tra deboli e potenti. Com’è normale che sia. E che è un virus temibile, che apparentemente si accanisce con coloro che invece pensano e dicono “ma non è una cosa seria”. Ma è soltanto perché queste persone gli offrono più chances per entrare nei loro organismi. Come gli scienziati ci hanno all’infinito spiegato. Rinunciare alle cautele e alle protezioni del caso mette a rischio tutti, compresi – ovviamente – quelli che (a torto o a ragione) si sentono uno o più gradini in alto degli altri.
Ordinanze - L’elenco è ormai lunghissimo e si è irrobustito negli ultimi giorni con il nome di Flavio Briatore, che aveva dileggiato e attaccato in maniera furibonda le ordinanze del sindaco di Arzachena che avevano portato alla chiusura del suo Billionaire, icona del divertimento luxury in Costa Smeralda, contestandogli di aver confuso il virus con i decibel e di aver messo in ginocchio l’economia di quella parte della Sardegna. Lo aveva addirittura sfidato, organizzando una festa a Billionaire chiuso con tanto di balli sui tavoli. Ecco, evidentemente si sentiva inattaccabile. E aveva pensato di sottrarsi al pericolo invisibile volando nella sua residenza a Montecarlo, ma così non è stato. Stessa sorte per decine di persone dello staff.
E poi Silvio Berlusconi, il Cavaliere (che per la verità, a differenza del suo amico Briatore ha sempre mantenuto un profilo di estrema attenzione nei confronti della pandemia, intervenendo anche finanziariamente a sostegno dell’apparato sanitario), da sempre emblema politico-mondano della Costa Smeralda, che non saputo resistere al fascino indiscreto della sua Villa Certosa diventata probabilmente un focolaio del temibile Covid-19. Possibile set di un film dal titolo L’ultima maledizione di Villa Certosa.
Il coronavirus c’è, ma per noi un po’ meno.
Sembrerebbe questo il filo che unisce queste vicende e tante altre: da Boris Johnson a Jair Bolsonaro (negazionista dichiarato che ha equiparato il coronavirus ad una semplice influenza), da Yulia Tymoshenko a Donald Trump che, pur non toccato dal Covid-19, ha assunto un atteggiamento da sceriffo rifiutandosi per mesi di indossare la mascherina, salvo poi definirla patriottica quando l’epidemia è esplosa negli USA (per inciso, nei giorni scorsi il Washington Post ha riferito che almeno venticinque guardie del corpo del Presidente, per le quali non è previsto l’uso delle mascherine, sono state contagiate).
E che dire di Vittorio Sgarbi (anche lui indenne dal coronavirus)?
Fin da principio si è esibito in performance apertamente negazioniste nei vari talk show, culminate in vari happening parlamentari nei quali ha rifiutato di indossare la mascherina. Ma, si sa, Sgarbi è un provocatore per definizione e non è facile comprendere fino a che punto sia convinto di quel che dice. Vale anche per questo caso.
Invincibilità - In fondo, quel che emerge è un senso di invincibilità che spesso accompagna chi ha una posizione di potere (nelle sue varie accezioni). Ci si sente differenti e superiori alla gente comune, e questa errata percezione scatta anche in situazioni nelle quali ciò che accade sfugge al controllo dell’uomo. E allora: il virus c’è, ma non nella mia residenza (a Montecarlo o in Sardegna che sia) o nei luoghi che frequento, quasi che si fosse stipulato un patto di non belligeranza con lo stesso. Per il quale, viceversa, uno vale uno. E la voce tregua non esiste.
Sia chiaro.
Ogni espressione di compiacimento per vicende di questo genere che colpiscono personaggi pubblici è assolutamente deprecabile. Si può essere d’accordo o meno con le loro idee, possono risultare simpatici o antipatici, possono avere un orientamento politico che non si condivide, ma ogni forma di odio manifesto e, magari, di (più o meno) sottile soddisfazione per lo stato di salute di chiunque – anche quando, magari, ingenera invidie e gelosie per il suo stato sociale – va assolutamente bandito. È accaduto in questi giorni sui social network con i soliti haters.
Il virus sta rialzando la testa.
Occorre la massima responsabilità da parte di chi è un personaggio pubblico e, in quanto tale, ha un’ampia platea cui potersi rivolgere. Ambiguità sul punto o, peggio, atteggiamenti che minimizzano od escludono la pandemia, sull’onda di uno stolto e sciagurato negazionismo, possono determinare danni probabilmente neanche presi in considerazione da chi li pone in essere.
Vanificando gli sforzi di chi, a partire da medici e operatori sanitari, è impegnato a combattere il Covid-19 spesso mettendo a rischio la propria vita.
Non è il momento di atteggiamenti guasconi, di bulli mediatici, di autocompiacimenti politici, di vanagloria social. Almeno quando si parla di pandemia. E questo nell’interesse di tutti.