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Quella mania dei selfie in groppa ai monumenti

 
Fulvio Colucci

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Fulvio Colucci

Quella mania dei selfie in groppa ai monumenti

Sui social sono definiti «Gli odiatori di Renoir»: scattano selfie con boccacce e sguardi disgustati nei musei; commentano così i capolavori del grande pittore francese impressionista ritratti alle loro spalle.

Giovedì 27 Agosto 2020, 17:44

Anche i selfie cambiano, si «evolvono, ammesso che di evoluzione si tratti e non di involuzione come appare più probabile. Non sono più il semplice e ingenuo scatto da soli, in compagnia di amici o vip, in qualche località amena o tenendo alle spalle un tramonto indimenticabile.

Negli ultimi anni la corsa alla moderna versione dell’autoscatto ha imposto una specie di «salto in alto» con l’asticella sempre più su, fino a limiti intollerabili o assurdi. Una ricerca spasmodica, profondamente narcisistica, dell’immagine, della propria immagine, che la frenetica e febbrile vita moderna frantuma in infinite schegge. Il selfie ha persino resistito alla tentazione di fare un passo indietro rispetto alla mascherina anti-covid immortalandola in tutti i colori e in tutte le fogge. Il selfie è costato addirittura la vita in diversi, tragici, casi. Secondo alcune stime riscontrabili in rete sarebbero addirittura 17 i ragazzi morti per un autoscatto...

Anche i selfie cambiano, si «evolvono, ammesso che di evoluzione si tratti e non di involuzione come appare più probabile. Non sono più il semplice e ingenuo scatto da soli, in compagnia di amici o vip, in qualche località amena o tenendo alle spalle un tramonto indimenticabile.

Negli ultimi anni la corsa alla moderna versione dell’autoscatto ha imposto una specie di «salto in alto» con l’asticella sempre più su, fino a limiti intollerabili o assurdi. Una ricerca spasmodica, profondamente narcisistica, dell’immagine, della propria immagine, che la frenetica e febbrile vita moderna frantuma in infinite schegge. Il selfie ha persino resistito alla tentazione di fare un passo indietro rispetto alla mascherina anti-covid immortalandola in tutti i colori e in tutte le fogge. Il selfie è costato addirittura la vita in diversi, tragici, casi. Secondo alcune stime riscontrabili in rete sarebbero addirittura 17 i ragazzi morti per un autoscatto al momento sbagliato nel posto sbagliato. Tra questi ricordiamo Isabella Fracchiolla, la giovane in gita a Taranto nel 2014: voleva catturare la propria immagine dalla ringhiera del lungomare, precipitò lungo i 20 metri della scarpata che dà sulla scogliera di Mar grande.

Senza tacere un’altra sfida deprecabile che investe soprattutto studenti in gita: «spararsi pose», come amano dire gli adolescenti, in luoghi nei quali forse sarebbe più consono essere sobri ed evitare. Pensiamo ai campi di concentramento nazisti o ai luoghi dove si sono consumati efferati omicidi (da Avetrana in giù); la polemica montò in passato per alcune foto che stridevano certamente con il contesto e sollevavano domande sulla reale comprensione del significato di quel che era davanti agli occhi.

Negli ultimi mesi il fenomeno selfie ha subito un ulteriore mutamento, mascherina a parte: dal caso della giovane in minigonna salita a calvalcioni della statua di Andrea Camilleri ad Agrigento a quello, recentissimo, dei giovani in groppa alla statua di Domenico Modugno a Polignano, passando per il clamoroso caso del turista austriaco che ha rotto addirittura due dita del piede alla scultura di Paolina Borghese in provincia di Treviso per immortalarsi quasi sdraiato accanto al capolavoro del Canova. A volerci scherzare su, ma da scherzare c’è assai poco, sembra che questa nuova fase dei selfie sia una fase «impegnata» dal punto di vista culturale. Non più il personaggio vip vivente (per tacere dei politici e delle loro strategie d’immagine che concepiscono addirittura le foto di sé come assolutamente funzionali ) ma il personaggio del passato, meglio se grande scrittore o artista.

Oppure l’autoscatto, sempre nella versione «intellettuale», davanti all’opera famosa: una scultura, un quadro. Non più sfoggiando un sorriso, ma cercando la «posa» più ardita, di quelle che rispondano alla domanda un po’ morettiana: «Come mi si nota di più». E così riparte la corsa verso quel salto in alto con l’asticella sempre più su. Pensate questa sorta di «allucinazione», perché di altro non si tratta, ha portato alla creazione di un gruppo, con migliaia di adepti, che sui social sono definiti «Gli odiatori di Renoir»: scattano selfie con boccacce e sguardi disgustati nei musei; commentano così i capolavori del grande pittore francese impressionista ritratti alle loro spalle.

Cosa ha spinto e cosa spinge gli amanti del selfie a queste estremizzazioni? Sicuramente gli incubatori del disastro antropologico (nelle sue estremizzazioni ovviamente) sono i social network. E certo si rimane sconcertati al sol pensiero che la «bravata» di Polignano sia stata immortalata anche in video e ora consente alle forze dell’ordine di risalire agli autori del gesto vandalico consumato «scalando» la statua di Modugno. Quei giovani non avevano messo in conto il rischio di essere scoperti? Eppure non si sono sottratti, non è nata in loro la benché minima remora.

Evidentemente il «brivido» del selfie, dell’autoscatto che certifica la sfida vinta, in molti casi una sfida contro la propria intelligenza se c’è (ma i dubbi si addensano), è più forte di tutto. Nell’immagine si concentrano il gusto della provocazione e quel narcisismo che è diventato una gravissima patologia della società occidentale. La deriva drammatica e al momento irrefrenabile, di quei 15 minuti di celebrità assicurati dalla profezia di Andy Warhol a tutti in un futuro che è già presente o forse, proprio per l’estrema violenza che la dittatura dell’immagine produce, soprattutto nelle generazioni più giovani, è già passato. E fa intravedere un futuro peggiore se non sapremo ricomporre, attraverso una nuova azione - soprattutto pedagogica perché scuola e famiglia sono in prima linea con i sì e i no da dire nei momenti opportuni - lo squilibrio tra parola e immagine.

Uno squilibrio che ha prodotto quello specchio infranto della nostra umanità nel quale non sappiamo più riconoscere qual è la nostra vera immagine e soprattutto cosa c’è dietro.

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