Ubriachi, si stavano picchiando come due animali. Giovinastri che nel cuore della notte non hanno di meglio da fare. A quel punto è intervenuta una pattuglia della polizia, con l'idea di mettere pace. Viceversa, i due ubriachi si sono coalizzati e hanno cominciato a menare gli agenti. E in loro aiuto sono intervenuti pure gli amici, i due gruppi che fino a quel momento si fronteggiavano come i Montecchi e i Capuleti, si sono invece prodotti in una fitta sassaiola contro la pattuglia.
Feriti e scompiglio, sangue e paura, in particolare per i poliziotti, che all’improvviso si sono ritrovati accerchiati dal branco. Ecco, questo succede nell’estate 2020, stagione che dovremmo vivere in uno stato di totale ringraziamento, vista la primavera nera dalla quale siamo riemersi, o comunque nella cautela di un virus subdolo, in perenne agguato. E invece no. Mai come in questo periodo, la dolce spensieratezza delle serate estive ha lasciato il posto alla baraonda, al rumore e alla violenza. All’assenza di regole.
(Ah, piccola annotazione: il putiferio tra le bande di giovani e la polizia non si è consumato al Cep - acronimo novecentesco diventato, più che Coordinamento di edilizia popolare, sinonimo di periferia feroce - bensì a Marina di Carrara, luogo che favolisticamente dovrebbe echeggiare ordine e civiltà).
E comunque, al di là delle degenerazioni di Massa Carrara, la movida fracassona e becera è la nuova dannazione urbana che rimanda a convivenze sempre difficili, all’eterno conflitto tra diritto al divertimento e diritto alla quiete. Dove comincia il tuo, dove finisce il mio? Nodo mai sciolto, tanto da ritenere perfino esagerate certe ordinanze comunali adottate sull'onda emotiva di residenti infuriati. La scala della tolleranza è paradossalmente soggettiva: c'è chi non sopporta non certo la musica a palla bensì il banale vociare sotto le proprie persiane chiuse. Coabitazioni fobiche.
Ma c'è chi obietta che l’estate del 2020 sia davvero un'esplosione disperata di vita, di energia deformata laddove il baccano e il disordine sembrano la risposta inconsapevole al silenzio e alla paura dei lunghi mesi di quarantena forzata. E d’altronde la voglia di infrangere ogni regola sarebbe figlia di quello strettissimo perimetro di regole entro le quali ci siamo dovuti muovere per mesi. Ma noi siamo cittadini, non psicoterapeuti. E alla fine, in maniera pragmatica, ci chiediamo soltanto perché il tempo ludico debba essere una condanna di caos. Né sfugga la genesi della movida, un movimento di libertà e ribellione nato in Spagna al tramonto del Franchismo, quando riprendersi le strade, gli spazi comuni, gli anfratti delle città, significava riaffermare la democrazia, poi anche l'arte e la cultura. È in questa nuova, plurale forma di convivenza metropolitana che nasce ad esempio la grandiosa poetica di Almodovar, perché la movida non è lafebbredelsabatosera. Non lo stordimento, bensì la coscienza. Chi dimentica Carmen Maura in una Madrid riarsa dall’afa notturna, gettarsi sotto un idrante del servizio pubblico, bagnarsi capelli, pelle, abiti, chiudere gli occhi al grido di «Che meraviglia!»? Non già, non solo, il refrigerio dalle formidabili temperature estive madrilene, viceversa metafora - come d’altronde tutto il film «La legge del desiderio» - di una nuova modalità di vita. L’iconico primato dell’acqua sul fuoco.
Vivere la notte è libertà. Rovinare la notte altrui è un sopruso (talvolta un reato). Sì, diciamolo chiaramente: a noi non piace questa movida volgare, priva di etica e di consapevolezza. È bello invece restituire importanza ai gesti e quindi comprendere che nella possibilità di vivere la notte è contenuta la cifra della nostra libertà. Ma non solo. Non trascuriamo gli affetti, l’empatia, il sentimento: stare insieme, bere un bicchiere, parlare, guardarsi negli occhi, magari fumare una sigaretta. Non è tutto questo, seppur elementare, perfino banale, un dono straordinario?