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L'ANALISI
Renato Quadrato
27 Luglio 2020
Ci sono Paesi in Europa, che si dicono “frugali”. Sono quattro rispetto ai 27 membri: Austria, Danimarca, Olanda, Svezia. Si sono definiti, anzi “autodefiniti” così, in una lettera inviata al Financial Times per rilevare la loro diversità rispetto agli altri componenti dell’Unione Europea, per arrogarsi la virtù dell’austerità, del rigore rispetto ai Paesi spendaccioni, come l’Italia, riguardo ai finanziamenti a fondo perduto previsti dal Recovery Fund, necessari a riattivare un’economia messa a dura prova dal coronavirus, e accordati dopo una lunga, estenuante trattativa.
È stato, il loro, un atteggiamento di alterigia, in contrasto con lo spirito solidale, unitario, che dovrebbe (anzi, deve) “animare” l’Europa.
C’è, poi, un aspetto da segnalare. Riguarda il lessico, l’uso dell’aggettivo “frugali” per vantarsi e distinguersi dagli altri. Ma, viene da chiedersi, conoscono i governanti di quegli Stati il significato esatto di quel termine? Forse soffermarsi su quel vocabolo può non essere inutile, perché “le parole sono tutto”, come afferma Michele Serra nell’intitolare la Prefazione dedicata al libro-intervista che Claudio Marazzini, Presidente dell’Accademia della Crusca, ha scritto con la giornalista Claudia Arletti, Elogio dell’Italiano. Amiamo e salviamo la nostra lingua (2019). Occorre, nella scelta delle parole, un esame accurato, “un vaglio anche selettivo”, perché, “le parole sono importanti … qualunque lavoro facciamo, qualunque posizione sociale occupiamo”. Esse “ci rappresentano, ci descrivono, parlano di noi anche quando le scagliamo contro gli altri, o le sprechiamo sciattamente”. “La lingua cambia (in peggio)” se adoperiamo le parole “malamente e distrattamente”. E la nostra “è viva e vivace”, avverte ancora Serra, e “dobbiamo averne cura”.
Ebbene il termine “frugale”, è l’aggettivo che nella nostra lingua significa “sobrio”, “parco”, indica la temperanza nel bere e nel mangiare: “sia frugal del ricco il pasto”, canta Alessandro Manzoni in uno degli Inni Sacri nel celebrare la Pasqua, la Risurrezione, festa nella quale i Cristiani siedono ad una mensa comune, nella quale il ricco non deve mangiare troppo perché possano mangiare tutti.
Ora, può risultare proficuo risalire all’etimologia della parola, per coglierne - come spesso accade nel rapporto che un vocabolo ha con la sua famiglia linguistica più antica – il senso autentico. Ebbene, frugale deriva dal latino frugi (frux) che, adoperato comunemente al plurale, indica i prodotti della terra, in particolare cereali e messi. Lo si ricava da numerose testimonianze, e di autori importanti: come, ad esempio, Cicerone (De divinatione 1.116: fruges terrae = le messi della terra; De natura deorum 3.86: frugum ubertas = abbondanza delle messi), Lucrezio (De rerum natura 2.1157: nitidas fruges = dolci frutti), Orazio (Epistulae 1.16.10: multa fruge = frutti in abbondanza), Virgilio (Aeneis 2.133: salsae fruges = cereali salati; 6.420: medicatis frugibus = frutti curativi). Ma frugalis viene usato anche per indicare l’uomo: come in Plauto (Trinummus 610: homo ordinis sui frugalissimus = l’uomo più frugale del suo ceto) o in Seneca (Epistulae 97.9: longe frugalior haec iuventus quam illa = questa gioventù è di gran lunga più seria di quella di allora).
Ciò non significa, però, che l’aggettivo lo si possa applicare ai Paesi. Sarebbe, a dir poco, improprio, se non addirittura sconveniente. E se ne sconsiglia l’uso.
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