Se solo pochi anni addietro un signore avesse osato vaticinare la scissione tra il luogo di residenza e il luogo del lavoro, sarebbe stato preso per matto o, tutt’al più, per inguaribile visionario. Invece la cesura tra luogo di residenza e luogo del lavoro, causata dalla pandemia, potrebbe diventare la norma, per non dire la normalità. Il che potrebbe provocare effetti e contraccolpi, per l’economia, per l’urbanistica, per il futuro delle città, paragonabili alle conseguenze determinate dalla rivoluzione industriale dell’Ottocento.
L’impressione generale, infatti, è che nulla tornerà come prima, anche se domani dovesse spuntare un vaccino in grado di sistemare per le feste il virus sbarcato dalla Cina. Nulla tornerà come prima perché il telelavoro, lo smart working e tutte le altre versioni telematiche, da tempo premevano per quel riconoscimento, per quella legittimazione, per quello status giuridico che l’emergenza economico-sanitario ha accelerato col pilota automatico.
Piuttosto. Non è dato ancora sapere con certezza se la massiccia telematicità del lavoro umano sarà un progressione o una regressione per l’umanità. Né è dato sapere se produrrà risultati positivi per l’economia e la società. Gli stessi studiosi della materia non hanno certezze, come è giusto che sia. Ma la titubanza nel lanciarsi verso un pronostico secco, stavolta la si percepisce senza molti “ma”.
Di sicuro, un beneficio è sotto gli occhi di tutti: l’ambiente. Il telelavoro comporta una diminuzione del traffico motoristico, che a sua volta produce un drastico calo dell’inquinamento. E l’aria più pulita non è una conquista da poco. Così come non è una conquista da niente la possibilità di muoversi nelle città con più facilità e con più velocità.
Tutto più bello, allora? Bah. Intanto, i lavori non sono tutti uguali. Ci sono lavori che possono essere svolti ex remoto e lavori che richiedono la presenza fisica costante. E poi: anche i lavori che possono essere svolti da casa prima o poi presentano il conto in termini di produttività e redditività: una cosa è il confronto de visu, il dialogo diretto, il contatto fisico permanente, una cosa è il collegamento a distanza. Solo un oltranzista delle novità può giurare sulla bontà assoluta, senza controindicazioni, dello smart working. Le idee, che poi nelle aziende e in tutti i siti produttivi, si traducono in iniziative, in progetti concreti, sono figlie del confronto-scontro permanente tra le persone, sono il frutto di quella risonanza creativa che specie nell’Occidente ha fatto la fortuna di molte nazioni.
Gli esseri umani sono, per natura, animali sociali e politici (Aristotele). Le città nascono e si popolano grazie all’esigenza insopprimibile di stare insieme e cooperare. Non ci sarebbe stato sviluppo se l’uomo fosse rimasto isolato nelle campagne, senza potersi misurare con i suoi simili. L’isolamento giammai produce redditività. I Comuni, le città sorgono per uscire dalla condanna all’isolamento, tipica di una società bucolica ed autarchica. Città significa scambio. Scambio significa progresso. Progresso significa democrazia. Non a caso la democrazia si afferma grazie all’urbanesimo, al maxiesodo dalle campagne. Per dire: se il Mezzogiorno d’Italia avesse potuto usufruire dei benefìci di un più radicato urbanesimo molto probabilmente la sua condizione socio-economica se ne sarebbe giovata assai. Altro che esaltazione del ruralismo, un must dell’esperienza fascista. Ruralismo significa arretratezza, culturale e finanziaria, come dimostra la vicenda inglese di Brexit: la moderna Londra quasi tutta contraria al divorzio dall’Europa, la feudale provincia britannica quasi tutta favorevole alla rottura con Bruxelles.
Intendiamoci. Lavorare per sempre a distanza non significherebbe tornare indietro, all’isolamento classico di una società contadina. Oggi tutti sono connessi. E nessuno sogna o rischia un brusco risveglio passatista.
E però il pericolo di sfollare troppo le città esiste. Il pericolo di svuotare le serre calde di idee, progetti, programmi, competenze, confronti, competizioni, commerci, scambi vari è tutt’altro che teorico. O meglio. Nessuno potrebbe scommettere con disinvoltura sulla mancanza di effetti collaterali negativi dopo il possibile spopolamento delle città. Finora non è andata così, nel senso che finora lo spopolamento urbano ha provocato problemi e arretramenti. Certo, anche le impetuose conurbazioni hanno generato, nei decenni scorsi, tensioni e malesseri in molte nascenti megalopoli, ma la storia dimostra che, nonostante tutto, nonostante le contraddizioni, lo sviluppo delle città ha fatto del bene all’intera umanità.
Allora? Nessuna bocciatura delle nuove forme di lavoro, ma attenzione a sposarle e condividerle a scatola chiusa. Le conseguenze inintenzionali potrebbero, è il caso di dire, sfuggire di testa. Meglio, molto meglio, un giusto mix tra le soluzioni, anche perché è in ballo l’assetto stesso di una comunità nazionale. Inutile dire che, sulla carta, l’impiego a distanza, potrebbe aiutare molti meridionali a lavorare da casa, cioè al Sud, pur essendo assunti da imprese del Nord. Con tutti i vantaggi, in termini di risparmio e di potere d’acquisto, facilmente immaginabili.
Ma anche per loro si porrebbe la stessa domanda. Si può vivere e progredire da soli?