Riuscite a sentirli? Passi silenziosi e concitati alle prime luci del mattino, accompagnati, forse, da un pianto. Quello di un neonato di appena 9 giorni, lasciato dai genitori in un fagotto davanti a una chiesa. Sembra di leggere un romanzo dell'800 o di tornare indietro nel tempo. E invece no. Questa vicenda è ambientata a Bari in una calda domenica di luglio, nel 2020. Cambiano le modalità, ma la storia è sempre la stessa. Niente più «ruota degli esposti»: qui c'è una confortevole termoculla. Siamo abituati a vederla in ospedale o nei reparti di neonatologia, invece questa si trova nella parrocchia San Giovanni Battista, nel quartiere di Poggiofranco. Accanto a quel minuscolo corpicino, avvolto con cura in una tutina a fasce bianche e azzurre, c'è un bigliettino: «Lui è Luigi. Piccolo, mamma e papà ti ameranno per sempre». Una frase che spezza il cuore.
Un grido d'aiuto lasciato a chi sicuramente riuscirà, nel prossimo futuro, a dare tutto ciò che serve a questa piccola anima innocente. Deve aver pensato questo don Antonio Ruccia, il parroco della chiesa barese mentre lo affidava alle cure dei soccorritori. È stato lui a trovare il piccolo, grazie ai sensori installati nella culla. Luigi ora è al sicuro, in terapia intensiva neonatale, e presto, forse grazie a una nuova famiglia, troverà la serenità che in questi 9 giorni di vita non è riuscito a ottenere. Nel frattempo sono scattate le indagini per cercare di rintracciare la mamma e il papà. Non dovrebbe essere difficile risalire alla loro identità tra telecamere di sorveglianza e ovvi collegamenti con le dichiarazioni subito dopo il parto.
La domanda, però, è un'altra. Martellante, incessante che ronza nella testa di chiunque abbia anche solo ascoltato di sfuggita questa notizia: perché? Perché l'hanno fatto?
Nessuno può rispondere. Possiamo solo immaginare cosa possa aver spinto questa coppia di neogenitori, probabilmente italiani, a prendere una decisione così difficile, quasi inumana. Indigenza, disperazione o paura? Tutte ipotesi. La verità è che in questo gesto estremo c'è tutto il fallimento di un sistema che non riesce a garantire il minimo sindacale a una nuova vita che viene al mondo in un nucleo familiare, se vogliamo definirlo «particolare». Mettere al mondo un bambino costa. Ci vogliono impegno, dedizione e denaro. Tanto denaro. Al punto che lo stesso genere umano si è autoimposto un freno. Da qui il perenne calo delle nascite. La colpa, se di colpa possiamo parlare, non è dei genitori. Ma di quel vuoto di regole e principi che ha tradito le conquiste del passato e trasformato le vite di tutti in un volo senza paracadute sociale, sotto gli occhi indifferenti, egoisti e accusatori della collettività.
Scusateci genitori. Abbiamo ribattezzato questo vostro atto con la parola più semplice: abbandono. Invece no. Non è abbandono. È un atto d'amore. Abbandonare significa gettare via come un rifiuto in un cassonetto (come le cronache spesso riportano) questo piccolo grande dono della vita. Abbandonare significa fregarsene. Voi non l'avete fatto. In quelle quattro parole vergate di vostro pugno, che avete lasciato a memoria di Luigi, avete condensato tutta l'adorazione e il sacrificio che c'è nel mettere al mondo un figlio e a non potersene prendere cura.
Luigi non è più solo e se voi vi siete sentiti così, siamo noi società a dovervi chiedere perdono. È stato un forte e duro atto di coraggio. Forse per concludere questa storia con un vero lieto fine, sarebbe altrettanto coraggioso se dopo questo urlo silenzioso, tornaste a riprendervelo il vostro dolce e piccolo Luigi. Il nome che avete scelto per lui significa uomo illustre. Non potevate dargli augurio migliore per consacrare la sua futura e speriamo «buona» vita.