Sopravviverà “signora Europa” all’attacco del Covid-19 e della sentenza della Corte costituzionale tedesca sulla BCE (Banca Centrale Europea) nel compimento dei suoi 70 anni, parecchi per una persona fisica pochi per una fase storica? Tanti sono, infatti, quelli trascorsi dal 9 maggio 1950 quando l’avvocato e ministro degli esteri francese Robert Schuman convocò una conferenza stampa nella quale illustrò un Piano rivoluzionario, elaborato dal suo illustre consigliere Jean Monnet. In esso fu proposto agli Stati europei disponibili, partendo dalla Germania occidentale, il controllo congiunto della produzione del carbone, energia all’epoca primaria, e dell’acciaio, pilastro dell’industria manufatturiera e fondamentale per un possibile riarmo considerati i seri rischi di un nuovo conflitto stavolta con l’impero sovietico.
All’appello risposero immediatamente il cancelliere tedesco Adenauer, il cui Paese era posto al pericoloso confine con i sovietici, ed anche Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo; i sei Stati firmarono, quindi, a Parigi nell’aprile del 1951 l’accordo istitutivo della CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio). E’ noto che la parziale integrazione economica così posta in essere fu poi generalizzata con il Trattato di Roma del 25 marzo 1957, facendo nascere CEE (Comunità Economica Europea) ed EURATOM (Comunità Europea dell’Energia Atomica). Dopo successive modifiche introdotte nel corso degli anni e la trasformazione della CEE in Unione europea con il Trattato di Maastricht del 1990, l’ultima revisione è avvenuta a Lisbona nel 2007.
L’attualità della Dichiarazione del 1950, costituendo il punto di partenza dell’intera integrazione europea, riguarda in fondo proprio la validità di quest’ultima. Schuman, al di là degli interessi e delle situazioni contingenti, era convinto dell’impossibilità di affrontare i problemi fondamentali dello sviluppo economico, del progresso democratico e della sicurezza sulla base della sovranità nazionale. E su questo presupposto affermava che la “pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. Tale creatività si sarebbe concretizzata nel “primo nucleo di una Federazione europea, indispensabile al mantenimento della pace”.
La Dichiarazione, pertanto, poneva quale obiettivo centrale il raggiungimento, fra Paesi per secoli devastati da continue guerre, del valore irrinunciabile della pace (e non commettiamo l’enorme sciocchezza di considerarla ormai scontata). A tal fine individuava concretamente, come strumento prioritario, l’integrazione economica non fine a se stessa ma quale ponte per la costruzione di una vera e propria integrazione politica.
Certo, in questi decenni la prospettiva federale, vanamente sollecitata da Altiero Spinelli con il Manifesto di Ventotene (1941), ha comunque determinato il conseguimento di alcuni risultati importanti quali il trasferimento ad una istituzione democratica sovranazionale come il Parlamento europeo - con il concorso degli Stati membri - del potere legislativo in numerosissime materie, il controllo del rispetto di tali norme (prevalenti su quelle interne non conformi) da parte di Commissione europea e del sistema Corte di giustizia, la nascita di una moneta unica (ma senza la necessaria unione economica e fiscale), la competenza esclusiva sui rapporti commerciali con gli Stati terzi e l’esistenza di una pur limitata politica estera comune, l’unione doganale e la politica di concorrenza, un embrionale (per la sua minima entità) bilancio comune, il riconoscimento di una cittadinanza europea con un seppur ristretto catalogo di autonomi diritti.
POTERI - Tuttavia, va sottolineato che il complessivo esercizio dei poteri appare tuttora fortemente condizionato dagli Stati membri nonché dal persistente ricorso all’unanimità degli stessi per molte decisioni essenziali e per la stessa modifica del Trattato istitutivo, che resta la fonte dell’intero sistema. In altri termini, l’integrazione europea è destinata a rimanere precaria e reversibile (l’uscita del Regno Unito ne è dimostrazione palese).
Comunque, le motivazioni richieste alla BCE dalla citata sentenza della Corte costituzionale tedesca del 5 maggio scorso, inopportuna nei tempi e discutibile nei contenuti, troverà facili risposte da parte della BCE e, peraltro, riguarda gli interventi effettuati nel 2015. E’ però reale il rischio che venga proiettata un’ombra “provinciale” sulle relazioni, giuridiche e politiche, fra gli Stati membri dando fiato alle forze più “sovraniste” presenti in essi. La sentenza, che con una certa arroganza tenta di mettere in discussione l’indispensabile uniformità di applicazione del diritto dell’Unione, sfrutta, anche se impropriamente, l’oggettivo e contraddittorio problema di una unificazione monetaria tuttora non inserita in un’analoga politica economica e fiscale comune. E nondimeno essa potrebbe, involontariamente, agevolare la scelta politica di privilegiare il ricorso agli strumenti “ordinari” di raddoppio del bilancio “comunitario” e di strumenti innovativi quali il Recovery Fund.
Ma proprio la gravissima crisi prodotta dal Covid-19 può costituire la cartina di tornasole del passaggio dall’attuale comunità “pre-federale” ad un percorso verso una progressiva integrazione politica che elimini situazioni di confine ed ambiguità. Ad essa, come avvenne d’altronde con l’iniziativa di Schuman, non ci si può aspettare che aderiscano tutti gli attuali 27 Paesi membri, ma se non altro sarebbero in grado di farlo quelli più maturi per una scelta coraggiosa. La base di riferimento di questo percorso esiste già ed è nella “Carta dei diritti fondamentali” adottata a Nizza nel 2001, la quale sancisce i valori costituzionali, espressione della cultura storica europea, sui quali costruire le istituzioni federali. Ovviamente nessuno si illude che il percorso possa essere né rapido né agevole; ma il momento è propizio almeno per cominciare a innalzare fondamenta più solide verso la piena integrazione perché la crisi economica e sociale che seguirà alla pandemia sarà di portata tale da non consentirne un’uscita se non tutti insieme, dai più forti ai più deboli. E’ bene tenere sempre a mente che solo la solidarietà può portare alla comune prosperità.
Il 9 maggio 1950 popoli e governi di 6 Stati scrissero la storia, utilizzando quegli “sforzi creativi” indicati da Schuman. Riusciranno i popoli e i governi dei 27 Paesi (o alcuni di essi) a scriverla nuovamente?