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«Eravamo quattro amici al bar»: ora siamo quattro clienti d’asporto

 
 Giampaolo Balsamo

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Giampaolo Balsamo

distanziamento sociale

Sarà un ricordo, insomma, fare colazione al bar dividendo il caffè in due e con assembramenti al bancone. Sarà anche difficoltoso consumare all’aperto considerato che la distanza dei tavolini deve essere di 2 metri

Martedì 05 Maggio 2020, 15:29

15:30

«Eravamo quattro amici al bar» cantava in una canzone Gino Paoli. Correva l’anno 1991 quando quella combriccola si ritrovava seduta al tavolino e «…tra un bicchier di coca ed un caffè», «si parlava con profondità di anarchia e di libertà».

A distanza di un trentennio e con una pandemia in atto, anche quei versi diventati simbolo non solo di una generazione, di un’epoca, ma di uno spirito di amicizia vero, genuino, universale, fatto di pacche sulle spalle, strette di mano, baci e abbracci, sono diventati all’improvviso fuori moda. Un autentico pugno nello stomaco per la loro anacronistica e quasi paradossale umanità.

Al tempo del Coronavirus, infatti, l’uso dell’imperfetto «eravamo» cantato da Paoli è diventato quanto mai adeguato per descrivere la situazione post-lockdown nei bar delle nostre città che difficilmente verranno riempiti dai «quattro amici». E, comunque, tutti rigorosamente distanziati, igienizzati e con mascherine guanti al seguito.

Prima della quarantena forzata, infatti, alcune ricerche sui flussi e sulla frequenza dei consumatori del «fuori casa», ci raccontavano che più di sei persone su dieci (il 64%) andavano in un bar o bar-pasticceria per iniziare la giornata, con una spesa media di due o tre euro per il caffè o il cappuccino con la pasta, oppure un succo di frutta e un salato. Circa sette su dieci, il 68%, consumavano il pranzo infrasettimanale in un bar tre o quattro volte a settimana, pagando fra 5 e 10 euro. Ma, anche questi dati statistici, oramai, sono diventati anacronistici. Fuori tempo.

Chi poteva immaginare che tutto si fermasse d’un colpo, senza alcun preavviso?
La scure del virus cinese, come uno tsunami devastante ha travolto tutti, compresi i bar che nella filiera territoriale del turismo italiano rappresentano un punto nodale di incontro e informazione, una cerniera che svolge un importante «servizio pubblico» di accoglienza e orientamento. Sì, i bar, tra gli esercizi commerciali più di altri, sono stati colpiti al cuore.

E nulla, neanche il take away o l’espressino-cappuccino d’asporto o a domicilio potranno eguagliare tutte quelle tradizioni che facevano (l’imperfetto è d’obbligo) parte di uno stile di vita all’italiana, spazzate via da un giorno all’altro dal maledetto Covid.

Addio, dunque, al caffè sorseggiato al banco nella tazzina bollente. Addio al cappuccino con la schiuma, al cornetto o al pasticciotto con la crema fumante, addio alla chiacchiera col barista e all’occhiata alla prima pagina della Gazzetta sfogliata da mani frettolose come un rituale fisso e giornaliero.

Sarà un ricordo, insomma, fare colazione al bar dividendo il caffè in due e con assembramenti al bancone. Sarà anche difficoltoso consumare all’aperto considerato che la distanza dei tavolini deve essere di 2 metri.

E chissà, in attesa del vaccino e di tempi migliori, nessuno più canticchierà «…eravamo quattro amici al bar…che volevano cambiare il mondo…». Ora siamo quattro clienti d’asporto. Ci avviciniamo al bar muniti di mascherina e con lo sguardo circospetto. Nulla sarà come prima. Berremo a cielo aperto. Gireremo la tazzina di plastica agli amici, tenendoli lontani almeno un metro. Poi consulteremo lo smartphone con la speranza che i dati del contagio siano in calo, e che a preve si possa tornare a gustare il caffè, come una volta.

Il mondo, però, nel frattempo sarà cambiato. Anzi il coronavirus l’ha già cambiato. Irrimediabilmente.

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