Si scrive privacy ma si legge libertà. In nome del sacrosanto diritto alla salute molte libertà sono state compresse, limitate, in qualche caso sospese. Sono alterazioni importanti non solo allo stile di vita, ma al patrimonio dei nostri diritti. Le accettiamo a tutela del bene massimo che l’ordinamento, la coscienza di ciascuno e la cultura difendono: la vita umana. La difesa della salute, nella sua applicazione quotidiana, va però bilanciata con altri diritti: quelli che rendono la vita di una persona un’esistenza non solo biologica, al pari di una lattuga o di una patata, ma qualcosa di piacevole, soddisfacente, determinato da precisi atti di volontà. Insomma, una vita che merita di essere vissuta.
Nei due mesi appena trascorsi le libertà di spostarsi, di riunirsi, di pregare, di lavorare, sono state limitate o sospese. Da un punto di vista formale lo strumento utilizzato è stato un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, atto che nella gerarchia delle fonti ricopre una posizione piuttosto modesta. Ma c’è di più. In alcune città, sciagurate ordinanze dei sindaci hanno chiuso le edicole in particolari giorni, limitando così un altro diritto fondamentale che, secondo una consolidata dottrina, è pre-condizione per l’esercizio di ogni altra libertà.
In questo clima di confusione emergenziale c’è il rischio di arrecare non un vulnus passeggero – come fin qui è stato – ma un danno permanente alla privacy degli italiani. Il Commissario straordinario per l’emergenza ha firmato un contratto per l’utilizzo di una App per monitorare e isolare i contagi da Coronavirus. L’App prescelta si chiama «Immuni» ed è realizzata da un’azienda italiana di software.
Chi è abituato a guardare il dito e non la Luna ha evidenziato come tra gli azionisti della società – la Bending Spoons Spa – vi siano un Fondo cinese e la famiglia Berlusconi. Aspetto irrilevante, visto che i due soggetti insieme detengono l’1 per cento delle azioni. La società ha offerto gratuitamente l’App, la sta sviluppando altrettanto gratuitamente e ha consegnato al presidente del Consiglio i codici sorgente. In materia di software sono pratiche di grande trasparenza che testimoniano la serietà della Bending Spoons.
Il primo dubbio è di natura etica: l’App per essere efficace deve essere scaricata dal 60-70 per cento della popolazione. In numeri assoluti significa almeno 36 milioni di italiani. Di qui il problema morale: non è obbligatorio scaricare l’App, ma chi non lo fa può vanificare la scelta fatta da milioni di persone.
Secondo dubbio, la gestione e conservazione dei dati raccolti che – è bene ricordarlo – sono definiti come «particolari», in quanto riguardano uno degli aspetti più intimi della persona. Sarà affidata a un organismo pubblico (Protezione civile? Presidenza del Consiglio? Servizio sanitario?) e comunque ci sarà un luogo fisico dove alla fine tutti dati confluiranno. Ed è qui che nasce il problema, che non è solo di «Immuni», ma di ogni raccolta di dati: un tesoro di grandissimo valore per fini commerciali, per fini politici, per fini criminali. I dati, infatti, pur nascendo come «anonimi», una volta incrociati con altre raccolte, diventano «parlanti». Sarà forte allora il rischio che siano rubati, che siano venduti di nascosto, che siano hackerati i server dove saranno custoditi.
È vero che scaricando l’App si presta una forma di consenso al trattamento, ma è un «consenso informato» come prevede la normativa? Cioè, viene detto fino a quando quei dati saranno conservati o se saranno utilizzati a fini statistici o per mappare zone ad alto rischio di contagio? Una serie di interrogativi e, soprattutto, una serie di trappole per i nostri diritti fondamentali già in parte compromessi, a fronte dei quali non si intravede un reale e bastevole beneficio. Però siccome il Coronavirus se ha soffocato molte libertà ha pure riportato in auge la cieca fiducia nella tecnologia, in molti stanno lavorando a convincerci che una App potrà salvarci dal Coronavirus. Alla faccia di ogni libertà. E questo detto oggi che è il 25 Aprile.