Due sensazioni di fronte alle nostre città smorte. La prima si presenta più gradevole. Sembra di essere a Ferragosto: strade deserte, negozi chiusi, quasi nessuno in giro. Poi, però, quelle file davanti agli alimentari e alle farmacie rimandano a un tempo cupo, vissuto da pochi e che abbiamo conosciuto grazie ai film del neorealismo. Sembra di essere in guerra, quando bisognava rifornirsi con la «tessera». Il cibo oggi non è razionato, ma sono «razionati» gli accessi: uno alla volta in macellerie e salumerie, cinque-sei nei supermercati. Fuori si aspetta. Pazienti. Muti. Anche la grande ironia dei baresi si è spenta.
Così come non c’è un filo di polemica né qualcuno che azzardi critiche al «governo ladro». No, stavolta si è tutti dalla stessa parte, proprio come in guerra.
Ed è una guerra vera quella che stiamo combattendo, ciascuno nel suo piccolo. Il nemico c’è, non è nemmeno tanto forte, ma è infame perché è invisibile. Lo scopri solo quando ti ha già colpito e magari ti ha usato per attaccare altri. Allora per difendersi c’è una sola arma: isolarsi da tutto e tutti. Guanti e mascherine. Anche se sono introvabili, anche se l’onnipotente Amazon si scusa perché è merce non disponibile o se potrà fartela arrivare solo fra un mese.
Quando sei in coda, a debita distanza, passano mille pensieri per la testa. Pensieri foschi. Il più lieve porta a conteggiare il tempo che si perde in attesa davanti a una farmacia o a una panetteria e che non sarà mai dato di recuperare. Frazioni di vita rubate. Fare la spesa porta via ormai due ore. E poi il sospetto. Ti allontani dagli altri, spaesati quanto te, come se fossero appestati. Guardi i gesti, cerchi di capire l’età, la condizione al di là della mascherina che indossano. Potenzialmente sono tutti untori, untore potresti esserlo anche tu. E allora ti allontani di qualche centimetro per difenderti ancora meglio da questo pezzo di merda di virus.
È davvero un vigliacco. Agisce nascondendosi e prendendosela con i più deboli, con gli anziani, con chi già deve combattere con qualche altra malattia. È una guerra sleale che nessuno di noi ha dichiarato e che tutti rischiamo di perdere, perché nessuna economia la può reggere a lungo. Gli ipermercati, una volta tempio del consumo oggi sono spettrali con quelle saracinesche abbassate. Solo i banchi del «food» - come dicono i dotti - sono illuminati. Per non parlare degli outlet: cattedrali in un deserto irreale, fatto di tristi parcheggi senza auto e di cancelli sbarrati. Aziende chiuse, turismo fermo, negozi sigillati, città blindate significano danni per migliaia di miliardi, non solo nella nostra sbilenca Italia, ma anche là dove la ricchezza si spreca. In questo il virus è equo: colpisce tutti, ricchi e poveri, bianchi e neri, settentrionali e meridionali. Ma è un’equità che non consola.
La consolazione può essere solo fai da te: un bacio, un abbraccio, una pacca sulla spalla sono proibiti. Che contrasto con le pubblicità che ancora scorrono in tv, dove si vedono giovani sorridenti abbracciarsi felici, famiglie riunite a tavola, agili nonni in palestra. Come stridono contro gli affetti che invece devono essere congelati. Contatti solo via chat o via Skype. Come se fosse la stessa cosa abbracciare tua madre anziana, che ha un guizzo di vita a rivederti, e mandarle un messaggio o seguirla davanti alla webcam.
E poi i figli, questi nuovi emigranti che abbiamo mandato al Nord e all’estero, perché lì c’erano lavoro e opportunità di vita. Adesso sono molto più lontani di quanto non ci fosse mai sembrato. Qualcuno ha fatto la fesseria di andarseli a riprendere di nascosto, magari senza sapere che avevano il virus già in corpo. Irresponsabili, perché così si è collaborazionisti di un nemico spietato e sanguinario.
Sarà difficile dimenticare questi giorni quando saranno passati. Perché passeranno, come è passata ogni guerra col suo carico di dolore e di morti. Il ricordo sarà forse un po’ sfumato, smussato dal trascorrere del tempo, però ci accompagnerà per sempre e ci servirà a essere più attenti, più previdenti, forse a farci riconsiderare la nostra esistenza inserita in una società globale. La storia insegna che nel passato erano proprio le città chiuse, i luoghi impenetrabili a sfuggire alle pestilenze. Ma oggi è ancora possibile immaginare una «società chiusa»? Può darsi, visto che da ieri non solo le nostre città ma tutta l’Italia è chiusa.