La Storia sembra, talora, compiacersi della sua complessità. Esige di farsi studiare arieggiando la biblioteca e guardando il tempo, altrettanto complesso, il tempo degli uomini, sotto le finestre. E solo così, i libri la possono, poi, raccontare. Scacciato dall’Eden delle certezze, fatto il passo fatidico nel pianeta della fatica e del tempo effimero, l’uomo constata che la sua vicenda si fa complessa. Affascinante, ma complessa.
Perché la complessità si articola e propone, affascinante, nella completezza del mondo, in tutti i suoi aspetti, i suoi modi di essere, le sue categorie, le azioni di chi lo abita. E chi lo abita, abita anche case e le case furono e sono state diverse.
E si sono modificate, sono cresciute, si sono dilatate, si sono assiepate ordinatamente in villaggi e città e metropoli. Han posto fondamenta anche nelle acque cercando appigli negli scogli o nelle lagune, sui baratri, nelle giogaie dei Monti e dei ventosi deserti. Anche le case hanno la loro storia, eccome. Dalla faticata e deludente torre babelica in poi. Fino alle «Due Torri» dell’inimicizia, distrutte dall’odio.
L’edilizia monumentale siamo abituati a metterla nel conto delle statistiche e della catalogazione, ma anche nel racconto dei fasti e dei nefasti dell’umanità compitamente reso dai libri delle Elementari fini ai complicati manuali. Ma con la più utile e servizievole edilizia abitativa le cose si fanno più semplici e il resoconto più asciutto.
Tuttavia è assai interessante raccontare la complessità della Storia anche affondando le mani nella creta, ammirando l’opus paziente dei muratori latini, scalpellando informazioni sui marmi superstiti alle calcificazioni di Barbari e Barberini, intingendo la penna nel calcestruzzo o nel cemento armato.
Delle sette meraviglie del mondo pare che siano sopravvissute solo le Piramidi e le genti hanno visto crollare case e monumenti, templi, chiese, obelischi, castelli e fortezze rovinare. Si fondò in noi, sin dai tempi delle scuole, la convinzione che con le illusioni di eternità dei superbi allievi di Prometeo, crollassero le loro altezzose opere architettoniche e l’edilizia connessa alle epoche che si sono avvicendate in quella sbrigativa e schematica periodizzazione che ci è stata insegnata da una manualistica incurante del senso vero della storia intesa come narrazione, che non ha sigilli editoriali che racchiudano date e scadenze. Il fluire degli eventi combina accadimenti e vicende umani senza lo scadenzario della manualistica e, quindi, è rivelatore del senso vero delle vicende umane. Atri muscosi e fori cadenti, ruine e ruderi, giustizie sommarie praticate dai saccheggi, sembra che si siano assunti il compito narrativo e lievemente moralistico di ammonirci sulla caducità delle fortune umane.
La bellezza dei monumenti, talora, è stata scoperta o decisa a cose fatte, a crollo o combustione avvenuti. È il caso della Bastiglia la cui «presa» sancì l’inizio della Rivoluzione. Sul momento, non se ne accorse nessuno: la sparuta guarnigione mercenaria, già afflitta da una devastante diarrea, si diede alla macchia e il Re Luigi scrisse nel suo diario, alla data del 14 luglio, una sola parola: «Rien». Niente, non era avvenuto niente. Comunque, sua maestà di nulla s’era accorto.
Anche le Tuilieries furono incendiate dalla Comune di Parigi che, pure era stata animata da belle teste che non potevano disconoscere la Storia e suoi valori che comprendono la bellezza. Anche quella dei palazzi. Come il Palazzo d’Inverno o l’Hermitage, salvi per miracolo. Spessissimo nessuno si è accorto che venivano demoliti edifici magnifici, prove inconfutabili dell’arte umana, per far spazio ad orrori. Le dittature, soprattutto, hanno la fissazione di immortalarsi nell’architettura: lo hanno fatto Hitler, Mussolini, Stalin. La smania edilizia delle tirannidi deve essere dovuta a un colossale complesso di paura di non durare e la voglia di esorcizzarla. Certe democrazie, qualche volta incompiute o fragili, lasciano che la gente faccia da sé. In genere il risultato non è un granché. Spesso i disastri ambientali funestano quella parte di pianeta che è stata lottizzata all’incuria, alla speculazione, al crimine. Le democrazie sono fragili e tendono a crollare in effigie.
Nel nostro piccolo, per gli Italiani, la devastazione dell’ambiente discende, come tutti sanno, dall’inopia dei poteri o dalla collusione di questi con la speculazione e dal preponderare dell’avidità privata. Nel nostro piccolissimo Barese, nell’elenco delle devastazioni edilizie e dall’edilizia forsennata realizzate con successo, basti ricordare la frenesia costruttiva bel Borgo Murattiano degli annni ’50, ’60, ’70, ’80. (Continuo?) che contemplò, tra l’altro, la demolizione micidiale del Palazzo della Gazzetta del Mezzogiorno. Cosa studieranno i nostri nipoti nei libri di Storia? Segnaleranno questi anni come quelli della speculazione edilizia ai danni della Bellezza?
Qualche giorno fa hanno cominciato la demolizione delle cosiddette «Vele» a Napoli. Un orrore sociale generato da illusorie buone intenzioni. La data passerà alla Storia? Forse. Ma spero che nessuno la consideri una festa. È solo che ha vinto la Legge e ha prevalso la buona politica e il buon senso ha fatto il resto. Festa sarà solo se questo crollo aprirà una sequela di demolizioni edilizie e metaforiche. Dalle orrende costruzioni abusive sulle coste alla rassegnazione a sminuzzare la Storia in una sequela di fatti casuali e caotici senza una ragione che la determini e la spieghi, senza uno spirito che respiri nel tempo. Che è complesso.