Non sarà la magistratura a dettare la politica industriale dell'Italia. La decisione con la quale ieri il tribunale di Taranto ha concesso il tempo chiesto dall'Ilva per mettere in sicurezza l'altoforno 2 toglie paglia dal fuoco acceso da quasi 8 anni da quanti vedevano, vedono e sicuramente ancora vedranno nei giudici tarantini legioni di anti-industrialisti, ambientalisti tout court, nemici degli imprenditori, e via delirando, facendo di tutte le toghe un'unica armata, quando invece – l'ordinanza di ieri, nei toni e nella sostanza lo dimostra in maniera inequivocabile – il pensiero unico non abita a Palazzo di Giustizia. Anzi. Lo snodo è sempre lo stesso: la magistratura, a Taranto come altrove, interviene per reprimere i reati, non per prevenirli.
L'8 giugno del 2015 una fiammata di calore investì il povero operaio Ilva Alessandro Morricella che morì quattro giorni dopo una terribile agonia al Policlinico di Bari, lasciando moglie e due bimbe di appena 6 e 2 anni. Sarà un processo a stabilire le responsabilità dei singoli e della società ma intanto i commissari dell'Ilva hanno accettato, dopo un primo no finalizzato a meglio sostenere la propria difesa nel dibattimento, di compiere tutti i lavori chiesti dalla Procura su suggerimento del custode giudiziario Barbara Valenzano. A lavori compiuti, la possibilità di incidenti simili a quello occorso a Morricella diventerebbe infinitesimale, tenendo conto sia della frequenza (stimata in 6 ogni mille anni) che delle conseguenze (ridottissime stanti i nuovi standard di sicurezza). Lavori che, detto per inciso, dovevano essere fatti e completati da tempo ma chissà se mai ci sarà qualcuno che chiederà conto di tutti i ritardi colpevolmente accumulati.
Ci si dimentica, insomma, in tutto questo arrovellarsi tra garantisti e giustizialisti pronti a cambiare casacca a seconda di chi siano gli imputati e i beni da tutelare, che se non ci fosse scappato il morto, l'altoforno 2 sarebbe arrivato a fine ciclo (2023) senza scomodare decine di magistrati (Consulta compresa) e il morto non l'hanno provocato certo i giudici tarantini (che peraltro l'Ilva, e anche l'altoforno 2, l'avevano sequestrata già nel luglio 2012 perché ritenuta insicura e pericolosa imbattendosi però contro il governo Monti che per via decreto concesse la facoltà d'uso).
Punto, e a capo. Ora riprende la trattativa tra ArcelorMittal e il Governo, con la multinazionale che aveva fatto dell'altoforno 2 e della sua possibilità di spegnimento il paradigma della pretesa impossibilità di adempiere al contratto di fitto finalizzato all'acquisto dell'Ilva firmato nel giugno del 2017 con la benedizione dell'allora ministro allo sviluppo economico Carlo Calenda. Sgombrato il campo dal nodo Afo2, le solite fonti ben informate ieri si sono affrettate a far sapere che la decisione tribunale di Taranto contribuisce a spianare la strada ad una «ragionevole soluzione negoziata» tra l’amministrazione straordinaria e Arcelor Mittal nella causa civile – la cui prossima udienza è fissata per il prossimo 7 febbraio - sul ricorso cautelare e d’urgenza dei commissari straordinari per bloccare l’addio dei franco-indiani. L’ amministratore delegato di ArcelorMittal Lucia Morselli e i tre commissari dell’ex Ilva, Francesco Ardito, Alessandro Danovi e Antonio Lupo hanno firmato un protocollo-canovaccio in cui però non si parla di esuberi, né si mette nero su bianco l’impegno economico assunto dalle parti, che ha come deadline il prossimo 31 gennaio e che ha lo scopo di portare ad un piano industriale per il rilancio del polo siderurgico con base a Taranto. Piano che, attraverso la ristrutturazione del vecchio contratto tra la multinazionale e l'amministrazione straordinaria, vede anche la creazione di una nuova società e l'avvio del processo di decarbonizzazione. Belle parole che ora vanno riempite di contenuti a chi la politica industriale dovrebbe farla per mandato, senza delegare ad altri la soluzione di propri problemi.