Senso di responsabilità e senso del dovere sono due facce di un’unica medaglia. Bene ha fatto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ad accomunare i due concetti. Concetti che evocano la nota lungimirante esortazione morotea sul «nuovo senso del dovere», premessa fondamentale per salvare il Belpaese. Concetti che andrebbero condivisi e fatti propri dalla società politica e dalla società civile. Concetti, però, che in un Paese diviso economicamente in due e politicamente in mille (campanili), fanno fatica a trovare adepti e sostenitori.
Mai come in questa fase della storia italiana il Capo dello Stato ha costituito e costituisce il punto di riferimento dell’intera nazione. Non a caso, l’altra sera, nel messaggio di fine anno, il Presidente non si è rivolto solo alla classe politica, ma all’intera comunità nazionale, spronandola ad avere fiducia, a ritrovare autostima, a puntare soprattutto sui giovani, che rappresentano la polizza assicurativa dello Stivale.
L’Italia non è quella che le classifiche del Pil e del debito pubblico descrivono. L’Italia è un grande Paese che può permettersi di festeggiare ogni anno i cervelli più geniali e straordinari mai apparsi sulla Terra. Ma per rimettersi in viaggio verso mete a lei più abituali e congeniali, l’Italia ha bisogno di unire fiducia, responsabilità e dovere.
L’etica della responsabilità distingue il politico consapevole delle conseguenze delle proprie azioni dal politico attento esclusivamente al proprio tornaconto personale e al proprio profitto elettorale.
L’etica della responsabilità significa saper leggere un bilancio, evitare spese senza copertura, impedire che le sfrenatezze di molti siano pagate dall’autodisciplina di pochi.
Etica della responsabilità significa affrontare il nuovo balzo del divario Nord-Sud, doverosamente denunciato da Mattarella, senza progetti illusori e conati demagogici. Significa tener conto delle esperienze e delle delusioni del passato, quando fiumi di miliardi si sono persi, nel Mezzogiorno, tra cattedrali «industriali» clientelari, apparati famelici di bustarelle e consulenze assegnate agli amici degli amici delle varie nomenklature.
Alla base di tutto, però, dovrà esserci quel senso civico spesso smarrito. In fondo anche il civismo non è altro che sinonimo di doverismo, di rispetto delle leggi, della buona educazione, della verità.
Anche il richiamo del Presidente a un’informazione più credibile ha rispecchiato un’esigenza assai avvertita e diffusa tra le fasce più accorte dell’opinione pubblica. L’esplosione dei social ha avvelenato i pozzi, che vanno disinquinati al più presto, per evitare un approdo maleodorante (oltre che odiocratico e asinocratico) sempre più incombente.
Mattarella ha rimbrottato il servizio pubblico informativo senza particolari giri di parole: «Abbiamo bisogno di preparazione e di competenze. Ogni tanto si vede affiorare la tendenza a prendere posizione ancora prima di informarsi». La partigianeria e la faziosità nascono così, idem l’indifferenza verso la conoscenza dei problemi, fattore indispensabile per legiferare e deliberare con cognizione di causa.
Viene in mente la risposta che diede lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino (1920-1996) a chi gli aveva chiesto quale fosse la via d’uscita dai mali, per l’Italia tutta, del presente. «Libri, libri, libri», fu il telegramma orale di Bufalino.
E i libri, insieme con la buona informazione scritta, sono gli strumenti che più assecondano l’etica della responsabilità e il senso del dovere evocati e invocati da Mattarella. Ecco. Il Paese si salverà solo se farà suoi questi precetti.