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La politica applichi la formula del valore

 
Francesco Giorgino

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Francesco Giorgino

La politica applichi la formula del valore

Il rischio da scongiurare? Che il valore finale dell’agire politico rimanga lo stesso o si riduca, fino a produrre conseguenze negative per l’intero sistema

Lunedì 23 Dicembre 2019, 15:27

E se la matematica venisse in soccorso della politica? Non sarebbe una cattiva idea, se solo si facesse riferimento alla cosiddetta “formula del valore”. Un modo razionale e corretto dal punto di vista metodologico per affrontare i vantaggi e gli svantaggi delle scelte compiute dai partiti autonomamente o in una logica di coalizione, al governo o all’opposizione. Al numeratore vengono misurati i benefici economici e sociali, ma anche quelli politici ed elettorali secondo una prospettiva diacronica di medio e lungo termine. Al denominatore vengono misurati, invece, i costi, che anche in questo caso possono essere economici e sociali, politici ed elettorali.

Prima di prendere qualunque tipo di decisione i leader dovrebbero porsi il problema, se naturalmente decidessero di applicare la formula del valore, di verificare se all’auspicabile aumento del numeratore corrisponda una diminuzione o un aumento del denominatore. Il rischio da scongiurare? Che il valore finale dell’agire politico rimanga lo stesso o si riduca, fino a produrre conseguenze negative per l’intero sistema.

L’attualità fornisce molti esempi in grado di evidenziare la difficoltà della politica quando si ostina a procedere prescindendo dall’analisi dei costi-benefici. Mettere sulla bilancia il “cosa si guadagna” e il “cosa si perde” introducendo, per esempio, una riforma oppure assumendo una posizione pubblica in ordine ad un determinato problema significa dar vita ad un approccio coerente con le ragioni della “sostenibilità politica”. Sì, introduciamo questa nuova categoria (quella politica), insieme alle formule più rilevanti della sostenibilità finanziaria, ambientale, sociale e culturale. Succede sempre più spesso, infatti, che per affrontare i molti problemi del Paese vengano proposte soluzioni che, sebbene siano attrattive per il sistema politico e mediale specie perché semplici, all’occorrenza diventino poco performanti e poco compatibili con la complessità delle società tardo-moderne. Per ottenere i risultati sperati non ci si può limitare, dunque, ad operare sfruttando una sola variabile. Occorre essere capaci di trasformare i vincoli in opportunità, secondo una visione di sistema e non miope. Il tema si sviluppa anche in ordine alle differenze esistenti tra tecnica e tattica politica.

Nel primo caso si fa riferimento all’insieme di norme su cui è fondata un’attività impegnativa come la rappresentanza e la rappresentazione degli interessi degli elettori. Nel secondo caso si fa riferimento, invece, ad un metodo utilizzato per perseguire obiettivi specifici, nella consapevolezza che esso può non coincidere con la strategia, grazie alla quale invece la politica si costruisce spazi autonomi. Tutto ciò vale a maggior ragione in presenza di processi trasformativi iper-complessi e iper-veloci come quelli in atto in Occidente ed in Europa.

In Italia l’intero sistema politico sta cercando un equilibrio dinamico tra ciò che è consolidato (come i Cinque Stelle, il Pd, la Lega e Fratelli d’Italia) e ciò che punta ad emergere o a riemergere. Il riferimento è ai nuovi soggetti politici: Italia Viva di Renzi, le Sardine di Mattia Santori, la Voce Libera della Carfagna, anche se solo nel primo caso si tratta di un partito strutturato a livello parlamentare e con una leadership in grado di incidere sugli assetti presenti e futuri. La sfida è quella della reinterpretazione (anche a questo scopo servirà seguire l’evoluzione del dibattito sulla prossima legge elettorale) del tripolarismo, essendo evidente che il Movimento guidato da Di Maio registra dalla sua parte la possibilità di continuare ad essere l’ago della bilancia nel governo e rispetto agli schieramenti di sinistra-centro e di destra-centro.

Volendo applicare la formula del valore alle vicende dei singoli partiti, possiamo sostenere che i pentastellati sono chiamati a trovare un equilibrio tra i costi relativi al passaggio dalla maggioranza giallo-verde a quella giallo-rossa e i benefici di essere partito di maggioranza relativa, che continua a governare il Paese da una posizione ancora di forza. Di Maio, alle prese con il completamento del non facile processo di riorganizzazione del Movimento anche a livello territoriale, sta rassicurando il premier Conte e i suoi alleati sulla stabilità all’azione dell’Esecutivo. Egli punta alla realizzazione di un cronoprogramma in grado di garantire ai Cinque Stelle il perseguimento di obiettivi strategici come salario minimo garantito, ambiente, legge sul conflitto d’interessi. A Di Maio non interessa la collocazione del M5S a destra o a sinistra, quanto la possibilità di portare a casa risultati in linea con l’identità del Movimento e con le promesse fatte ai propri elettori, non a caso considerati più de-ideologizzati di altri.

Se per Renzi l’esperienza a fianco di Conte è frutto di una logica “emergenziale” (leggasi di convenienza, più che di convinzione), tutt’altro è lo spartito che segue Zingaretti avendo indicato nel premier l’uomo giusto e il punto di riferimento di tutte le forze progressiste. Il segretario del Pd pensa ad un congresso che adegui il programma della sinistra, la sua cultura politica, il sistema di valori ed anche la “forma partito”.

Tra una settimana comincerà un mese molto delicato per tutti, maggioranza ed opposizione. A gennaio, infatti, ci sarà un ingorgo di scadenze che potrebbe generare effetti significativi sulle prospettive del governo e della legislatura: dalla verifica delle firme per la promozione del referendum confermativo sulla legge costituzionale in materia di riduzione dei parlamentari (se entrasse in vigore, si allontanerebbe l’ipotesi di elezioni anticipate) al voto della Giunta per le immunità del Senato sul caso Salvini-Gregoretti, alle consultazioni regionali in Emilia Romagna e Calabria, dove Forza Italia si è divisa a seguito del veto del leader della Lega su Occhiuto. A proposito di Salvini, sabato scorso egli ha ufficializzato la nascita della Lega nazionale. Lo ha fatto insieme a Giancarlo Giorgetti e Roberto Calderoli ed alla presenza di Umberto Bossi che non gli ha risparmiato alcune frecciatine. La Lega Nord resta in piedi poiché dovrà regolare le pendenze con lo Stato per la vicenda dei 49 milioni, anche se limiterà ad essere solo una costola di un nuovo movimento (la Lega Salvini Premier) il cui segretario resterà in carica cinque anni e non più tre. La seconda fase del Carroccio coincide, dunque, con la creazione di un partito più agile, che nelle intenzioni del suo leader deve completare il processo di consolidamento elettorale al Sud fino a diventare prima forza politica del Paese. Sempre che la “formula del valore” glielo consenta.

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