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Referendum continuo una trappola rischiosa

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Il premier Giuseppe Conte

Giuseppe Conte

Fa specie dover prendere in considerazione l’ipotesi che il destino di un esecutivo possa dipendere dalle valutazioni di diecimila o centomila militanti. La Costituzione non prevede procedure alternative a quelle fissate nella sua Carta

Martedì 03 Settembre 2019, 15:39

18:41

Democrazia diretta contro democrazia rappresentativa. La sorte del secondo governo Conte sembra appesa all’esito di una partita che potrebbe rivelarsi più palpitante di Juve-Napoli o di Roma-Lazio. La sorte del Conte-2 - a giudizio di Luigi Di Maio e di molti altri maggiorenti dei Cinque Stelle - è legato al referendum (davvero mozzafiato?) tra gli iscritti del M5S che si pronunceranno attraverso la piattaforma Rousseau.

Fa specie dover prendere in considerazione l’ipotesi che il destino di un esecutivo possa dipendere dalle valutazioni di diecimila o centomila militanti. La Costituzione non prevede procedure alternative a quelle fissate nella sua Carta.

Né è condivisibile la tesi secondo cui una forza politica debba o possa regolarsi attraverso test autonomi (a volte di dubbia credibilità e attendibilità), non foss’altro perché, per la legge suprema dello Stato, ogni parlamentare è libero e alieno da vincoli di mandato. Del resto, il Movimento medesimo non ha sposato fino in fondo il principio dell’ipse dixit della piattaforma Rousseau, visto che attribuisce al Garante, cioè al fondatore Beppe Grillo, il potere di rivedere la deliberazione degli iscritti.

Infatti. Il Garante e il Capo Politico potrebbero chiedere una nuova consultazione se non gradissero l’esito della votazione. E qualora, nella seconda votazione, non si raggiungesse il quorum, il quesito decadrebbe. E non è detto che Grillo non adoperi questo strumento in caso di voto ostile della Rete all’intesa con il Pd sotto la regia di Conte. Anche se l’eventuale bocciatura dell’accordo provocherebbe un mezzo finimondo.

Che il ping-pong tra democrazia parlamentare e democrazia diretta debba finire al più presto, per evitare rischi di paralisi e cortocircuito per l’intero sistema, è più che auspicabile. Che la questione sia stata sottovalutata fino al punto da partorire il paradosso, l’ossimoro di un ministero per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta (ministero da 15 mesi guidato da Riccardo Fraccaro), la dice lunga sul retropensiero e sul pericolo di snaturare senza colpo ferire la democrazia rappresentativa.

Istituire il ministero per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta significa sposare la teoria degli opposti, significa mettere insieme il diavolo e l’acqua santa. La democrazia parlamentare è il contrario della democrazia diretta. Solo alla fertile inventiva politica nazionale poteva venire in mente di unificare i due obiettivi, per giunta in un solo ufficio. Sarebbe come battersi per l’ambiente, ma anche per il petrolio; per la detassazione, ma anche per la patrimoniale.

Anche le anime più caste, quelle più distaccate dai giochi proibiti della politica, dovrebbero riconoscere che appellarsi al voto diretto, peraltro di una minuscola minoranza, non offre alcuna garanzia di democraticità decisionale. Uno, perché a deliberare sarebbe un numero ristretto di partecipanti. Due, perché il ricorso alla consultazione referendaria si presterebbe ad essere utilizzato tutte le volte che in Parlamento si formano coalizioni o leggi poco gradite all’uomo forte del momento. Tre, perché nessun cittadino può sapere tutto di ogni problema e di ogni materia, il che rappresenta, da sempre, l’argomento chiave a favore della democrazia rappresentativa. Quattro, perché la democrazia diretta costituisce il terreno ideale per l’esplosione della demagogia e del populismo. Al riguardo, il caustico austriaco Karl Kraus (1874-1936) ci ha consegnato un aforisma che più profetico non si può: «Il segreto dell’agitatore politico populista è rendersi stupido come i suoi ascoltatori, in modo che questi credano di essere intelligenti come lui».

Non sappiamo quale sarà il percorso del tentativo di Conte di formare un governo con il Pd. Oggi sembra a un passo dal traguardo. Sarebbe però davvero singolare se gli ultimi metri della volata fossero ostacolati da un mini-verdetto referendario, che spiazzerebbe lo stesso Movimento, cioè uno dei due soci della nascitura alleanza.

La democrazia indiretta, rappresentativa e parlamentare, può piacere o non piacere. Ma è l’unica democrazia che è sopravvissuta all’usura del tempo e agli attacchi degli spiriti anti-democratici. Tutte le altre democrazie, da quella assembleare a quella oligopolistica, hanno fatto da apripista a soluzioni ora autoritarie, ora totalitarie.

In ogni democrazia rappresentativa tocca agli eletti del popolo dar vita ai governi, non agli elettori convocati in servizio permanente effettivo. Anche in Gran Bretagna, culla della democrazia, gli accordi e i governi si fanno e si disfano senza ricorrere, ogni momento, al «mi piace» o al «non mi piace» dei cittadini. Le democrazie, infatti, muoiono sia se non si vota mai, sia se si vota sempre, in continuazione. E fino a quando, in Parlamento, si possono formare o disfare maggioranze di governo, ogni proposito alternativo è debole e insidioso in partenza.

Ecco perché tutti i tentativi tesi a colpire questo assioma, in realtà mirano a picconare qualcos’altro. Ora i primi a saperlo sono proprio Giuseppe Conte e Beppe Grillo.

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