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Ma a scuola la merendina non è più quella di un tempo

 
Ugo Sbisà

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Ugo Sbisà

Ma a scuola la merendina non è più quella di un tempo

Commento sulla sentenza con la quale la Cassazione ha stabilito che portare un panino da casa comporta una possibile violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione in base alle condizioni economiche

Mercoledì 31 Luglio 2019, 16:17

Nell’Albania di Enver Hoxha vigeva, fra i tanti, un principio molto rigoroso: in tutte le case, mobili e suppellettili dovevano essere assolutamente identici, affinché nessuno, ma proprio nessuno, potesse provare invidia nei confronti del vicino, vedendo che il suo servizio di piatti o la sua poltroncina erano più belli o, magari, semplicemente diversi.
Sarà ovviamente una casualità, ma la sentenza con la quale la Corte di Cassazione ha stabilito che portare un panino da casa comporta una possibile violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione in base alle condizioni economiche, oltre che al diritto alla salute, sembra quasi voler richiamare lo stesso principio dell’ex dittatore del Paese delle Aquile.

La sentenza si riferisce a un caso di refezione scolastica che aveva visto la Corte di Appello di Torino pronunciarsi in modo diametralmente opposto, consentendo cioè agli studenti degli istituti primari e secondari di portare a scuola il pranzo da casa, ma finisce anche per stabilire un principio che con un ideale colpo di spugna relega nel passato remoto i ricordi più cari di molti di noi. Improvvisamente, i cestini azzurri (per i maschietti) e rosa (per le femminucce) nei quali le nostre mamme riponevano amorevolmente le nostre merendine o il pranzo per quanti si fermavano a fare il cosiddetto «doposcuola», diventano degli odiosi strumenti di discriminazione.

Perché c’è stata un’epoca in cui il rito della merendina a scuola era sacro e, anziché sottolineare odiose differenze di ceto e di censo, favoriva gli scambi e le amicizie. C’era chi portava il panino con la marmellata e chi invece quello con la frittata, se non addirittura con la cotoletta. C’erano le mamme frettolose che ai propri figli compravano il cornetto al bar e quelle che invece passavano dal panificio a prendere il dolce maritozzo (che seminava zucchero ovunque) o la focaccia (che puntualmente, col suo irresistibile profumo, finiva per subire assaggi ben prima della ricreazione). E quando appunto arrivava il momento della merenda, era tutto un fiorire di scambi: «Mi fai assaggiare un po’ del tuo panino?».

«Sì, ma la mortadella è più buona della marmellata di albicocche, quindi mi devi dare anche due figurine dei calciatori».
E quando qualche malcapitato dimenticava la merendina a casa e cadeva vittima dei languori, c’era sempre l’amico generoso pronto a cedergli metà della propria, quale che fosse. Di lì magari nasceva la simpatia, l’invito a casa per studiare assieme o la partita di pallone giocata nella stessa squadra.
La stessa cosa accadeva più o meno quando nel cestino si portava anche il pranzetto: una varietà di pietanze da fare inorgoglire l’Accademia Italiana della Cucina. Piatti semplici, ma sani, per carità e le più richieste per gli assaggi erano puntualmente le polpette di qualche mamma che abbondava con il pecorino, rendendole particolarmente saporite.
Era un mondo ingiusto e sbagliato quello? Può darsi, ma non certo a causa della... libertà di merendina.

Un piccolo mondo nemmeno tanto antico nel quale la diversità era veramente una risorsa e portare da casa la merendina più ricca (magari quella confezionata propagandata dal Carosello) non significava assolutamente essere migliori di nessuno. Anzi, il più delle volte i portatori delle merendine proletarie erano anche quelli che andavano meglio a scuola.
Ancora, un mondo nel quale nessuno si sarebbe mai sognato di non somministrare a scuola determinate pietanze per non urtare la sensibilità dei credenti di altre religioni (il campo è minato, lo sappiamo...), ma che appunto consentiva agli intolleranti (alimentari e... culturali) di portare da casa ciò che preferivano, senza restare incastrati nelle omologazioni forzate.
Si dice che le sentenze fanno giurisprudenza. Bene, da oggi, per evitare che l’erba del vicino sia sempre più verde, il panino del compagno di banco deve essere sempre lo stesso.

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