Alitalia. Da sogno per gli italiani usciti dalla guerra e avviati al boom economico, a incubo per gli italiani di oggi piegati da una inesauribile crisi economica e da una ripresa che più che utopia sembra la chimera della mitologia greca: un mostro col muso di leone, il corpo di capra, la coda di drago e che vomita fiamme. Dal volto gentile delle mitiche hostess d’antan, siamo passati all’incubo di un pozzo che, mai satollo, ingoia quotidianamente milioni d’euro. L’ennesimo diuturno salvataggio , drenerà naturalmente le nostre tasche: 650 milioni di euro che, secondo il decreto crescita, dovrebbero essere prelevati dalla Cassa per i servizi energetici e ambientali. Facciamola breve: sono soldi pescati da una sorta di fondo che dovrebbe servire ad ammortizzare forti oscillazioni dei costi energetici. Il punto serio è che questi soldi li abbiamo pagati e continuiamo a pagarli tutti noi utenti attraverso le bollette energetiche. Bimestre dopo bimestre. Molti neppure lo sanno ma c’è una voce, «oneri di sistema», indipendente dai consumi, che versiamo proprio per calmierare a nostro favore un eventuale ed eccessivo aumento delle bollette. Questo in teoria.
Nella realtà la Cassa per i servizi energetici e ambientali viene periodicamente utilizzata dai governi per finanziare provvedimenti privi di copertura economica. E visto che la gestione commissariale dell’Alitalia, in attesa di un compratore, non riesce a sanare l’emorragia di debiti, siamo noi, nostro malgrado, a tenere in vita una compagnia da troppo tempo senza capo né coda. Prima pubblica, poi privata, poi partecipata, ora commissariata, l’Alitalia continua a macinare debiti e a un salvataggio ne segue sempre un altro, senza mai giungere all’unico risultato auspicabile: lo stop ai prelievi dalle tasche degli innocenti contribuenti. Ci vorrebbe Mago Merlino per stabilire con precisione quanti soldi siano stati ingoiati da Alitalia. Secondo il calcolo fatto dalle associazioni dei consumatori, solo nell’ultimo decennio sono stati sperperati 8,6 miliardi di euro. E tutto è ancora in alto mare.
Cosa accadrà ora? Viene assicurato che il prelievo dalla Cassa per i servizi energetici è solo «una tantum» e, per di più, i soldi dovrebbero essere restituiti. La realtà invece è meno rassicurante. L’«una tantum» italiana è tradizionalmente «una semper». Di restituzione neanche a sperarne visto l’enormità del nostro debito pubblico. Ma il timore peggiore è che dopo il prelievo si giunga a un aumento delle bollette di luce e gas. E qualche pessimista, o realista, teme pure un aumento delle già carissime tariffe autostradali.
Nessuno vuole fare facile ironia. La salvaguardia dei posti di lavoro dei dipendenti Alitalia è sacrosanta ma, di sicuro, la messe di miliardi spesa è stata certamente utilizzata malissimo. Banalizziamo: se quei soldi buttati via per decenni senza concludere nulla fossero stati distribuiti fra i dipendenti, ora avremmo svariate migliaia di milionari in più e avremmo pure risolto il problema.
Definire oggi l’Alitalia una compagnia di bandiera richiede molto ottimismo e, tecnicamente, si può discutere se lo sia davvero. Ma di sicuro così com’è non ci si fa una bella figura. Nel frattempo continueremo a salvarla perché così è. Ma allora perché non salvare tutte le altre aziende in crisi?
Nell’attesa del paventato aumento delle bollette, protestano in tanti: l’Autorità dell’energia, le associazioni dei consumatori e altri ancora. Per fortuna, però, il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Danilo Toninelli, ci tranquillizza: «Andiamo avanti a lavorare, il lavoro è positivo». Ma come andrà a finire veramente lo sappiamo bene. L’Alitalia continuerà a perdere vagonate, anzi carlinghe di danaro, e noi proseguiremo a versare inutilmente soldi per un salvataggio mai nato.