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Democrazia eterodiretta il movimento si è fermato

 
Giovanni Valentini

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Giovanni Valentini

Democrazia eterodiretta il movimento si è fermato

Non è stato certamente un plebiscito quello organizzato sulla misteriosa “piattaforma Rousseau” di Casaleggio jr. per assicurare l’immunità parlamentare a Salvini

Mercoledì 20 Febbraio 2019, 15:18

Se dovesse servire davvero a favorire un “voto di scambio” con la Lega, per ridimensionare l’autonomia differenziata ed evitare la “secessione dei ricchi” a danno del Sud, forse il No del M5S all’autorizzazione a procedere contro Salvini potrebbe anche avere un senso e una ragione. Ma, in ogni caso, prima la farsa della consultazione online e poi il verdetto dei senatori pentastellati segnano verosimilmente l’inizio di un declino o di una svolta irreversibile per il Movimento guidato da Di Maio, verso l’implosione e l’autodistruzione. È l’eutanasia di una forza politica, di protesta e di rinnovamento, che ha immolato la propria “diversità” sull’altare dell’alleanza innaturale con il Carroccio in nome di un “contratto di governo” destinato a rivelarsi un contratto capestro.

Tre stelle da una parte e due stelle dall’altra. Non è stato certamente un plebiscito quello organizzato sulla misteriosa “piattaforma Rousseau” di Casaleggio jr. per assicurare l’immunità parlamentare a Salvini. Si è trattato comunque di un voto pilotato fin dalla formulazione palesemente retorica dei quesiti, per indurre gli iscritti a rispondere come volevano i capi del Movimento, attaccati alle loro poltrone quanto la vecchia casta che si proponevano di sostituire. Dalla democrazia diretta, siamo passati così alla democrazia eterodiretta, attraverso l’inganno mediatico di una controversa consultazione digitale.
Fatto sta che la base del M5S s’è spaccata in due tronconi che riflettono le sue due anime: una più di destra e l’altra più di sinistra, una più di potere e l’altra più legalitaria, una di governo e l’altra movimentista. L’aspetto politicamente più grave è che in questo modo la maggioranza del popolo grillino ha avallato definitivamente la linea leghista sull’immigrazione, condividendone gli obiettivi e gli strumenti. In pratica, una sottomissione consumata proprio sul terreno della propaganda più becera e strumentale.
Che cosa ne pensano il presidente della Camera Roberto Fico, Alessandro Di Battista e i sindaci “dissidenti” che alla viglia del voto s’erano pronunciati a favore dell’autorizzazione a procedere per Salvini? Ora i Cinquestelle rischiano di ridursi a una filiale del Carroccio, una dépendance del populismo e del sovranismo anti-europeo. Ormai la subalternità al leghismo trionfante appare in tutta la sua evidenza, nonostante che i rapporti di forza iniziali sanciti dall’ultimo responso delle urne avessero affidato loro il ruolo di prima forza politica del Paese. Il finto referendum digitale è servito in realtà a deresponsabilizzare la rappresentanza parlamentare pentastellata, consentendo ai senatori della giunta per le autorizzazioni di lavarsene pilatescamente le mani nel segno dell’autoconservazione.
Per la verità, le prime avvisaglie di questo declino c’erano già state nelle recenti elezioni in Abruzzo e, da qui alle europee di maggio, vedremo che cosa accadrà nelle altre regioni: a cominciare dalla Sardegna dove si voterà domenica prossima e dove il vicepremier Salvini è andato in campagna elettorale a piangere sul latte versato dai pastori. Ma un test ancora più rivelatore si effettuerà in Basilicata, dove il leader di quella che un tempo si chiamava Lega Nord - e che tuttora conserva un pregiudizio anti-meridionale, come rivelano i recenti insulti del ministro della Pubblica istruzione ai presidi e agli insegnanti del Sud - ha finito per accettare la candidatura unica di un generale della Finanza, con l’imprimatur di Silvio Berlusconi. Un’ulteriore conferma che la coalizione di centrodestra è sempre viva e vegeta, nonostante i distinguo opportunistici di Salvini sul piano nazionale.

Di fronte allo sbandamento del M5S, in una tale situazione il centrosinistra avrebbe tutto lo spazio per contrapporre un’alternativa seria e credibile da offrire agli elettori. E invece, in Basilicata il Partito democratico si divide fra il vecchio e il nuovo, nell’incapacità di accantonare un ex presidente di Regione indagato dalla magistratura nell’ambito di un’inchiesta sulla sanità, sospeso dalla carica e poi costretto a dimettersi, piuttosto che replicare il modello vincente dell’Abruzzo con la lista civica “Luci” (Lucani insieme) che la giornalista Carmen Lasorella ha cercato generosamente fino all’ultimo di promuovere. Tutto ciò avviene sulla pelle della regione, dei suoi abitanti e dello stesso Pd.

In attesa del congresso nazionale che dovrebbe eleggere Nicola Zingaretti alla segreteria, dunque, i “dem” appaiono ancora prigionieri delle vecchie logiche spartitorie che hanno imbalsamato il loro partito. Eppure, la strada praticata con successo da Giovanni Legnini in Abruzzo dimostra che l’unica direzione possibile è quella di un “centrosinistra allargato”, per rilanciare e rinsanguare il Pd. Senza una robusta iniezione di “civismo”, di nuove energie umane e intellettuali, il fronte democratico e progressista non avrà un grande futuro. A meno che l’elettorato ex democratico in libera uscita che un anno fa votò per il M5S, oppure si astenne, non abbia magari un soprassalto di consapevolezza e di responsabilità.

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